Accolto il ricorso degli eredi di un lavoratore morto a causa di patologia tumorale per esposizione ad amianto

Si erano visti rigettare, in sede di merito, la domanda di accertamento del diritto, iure hereditatis, al risarcimento dei danni biologico, esistenziale e morale dipendenti dalla morte del loro congiunto, in servizio, a causa di patologia tumorale per esposizione ad amianto (adenocarcinoma polmonare).

In primo grado il Tribunale aveva condannato l’azienda datrice al pagamento, in favore degli eredi, la somma di € 471.474,00 oltre accessori a titolo risarcitorio per danno biologico patito dal loro dante causa. La Corte territoriale, tuttavia, aveva riformato la decisione, sulla base di una nuova C.t.u. medico-legale, che riteneva aver escluso la certezza della diagnosi di adenocarcinoma polmonare in assenza di indizi clinici, strumentali o di laboratorio, tali da indurre la supposizione di un’esposizione all’amianto del medesimo, con la precisazione che il difetto di un esame necroscopico del defunto, affetto all’epoca da varie patologie concorrenti e concomitanti, componenti un quadro clinico molto complesso, non restituiva con una chiara certezza l’effettiva causa della sua morte.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti deducevano nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per motivazione perplessa, incomprensibile, contraddittoria o inesistente, tale comunque da non renderne comprensibile il percorso argomentativo logico-giuridico, basato sul richiamo della relazione di C.t.u. medico-legale rapidamente citata, nonostante la sua ampia diffusione nell’esame del materiale probatorio orale raccolto in primo grado, della cartella clinica e la sua conclusione altamente probabilistica in ordine all’esposizione “di marcata entità alla sostanza cancerogena” del lavoratore ed al suo nesso eziologico con la neoplasia contratta, quale causa della sua morte: senza giustificare in alcun modo, al di là dell’apparente adesione formale alle conclusioni, l’effettivo dissenso.

La Cassazione, con sentenza n. 30526/2021, ha effettivamente ritenuto di aderire alla doglianza proposta.

“E’ noto – hanno chiarito dal Palazzaccio – che, in tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non possa prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione, non risultando identificabili gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione; sicché sussiste il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione allorché essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto a fondamento della decisione”.

Gli Ermellini hanno poi specificato che, laddove alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio stabilito dall’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione.

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva soltanto apparentemente condiviso “gli esiti della relazione medico legale d’ufficio (redatta in modo logico e razionale, secondo la migliore scienza ed esperienza sanitaria ed alla quale il Collegio non ha motivo di non aderire)” di negazione ‘apertis verbis’ che il decesso del congiunto dei ricorrenti fosse “dipeso da un adenocarcinoma contratto nell’ambiente di lavoro insalubre perché presenti fibre o micro fibre di amianto, dovendo così escludersi qualsivoglia nesso etiologico tra l’evento morte e l’ambiente di lavoro”. Mancava, infatti, un effettivo riferimento alla relazione, così succintamente e parzialmente richiamata (al punto da riuscire il rimando obiettivamente lacunoso) da non restituirne il reale apporto di indagine tecnica, di ampia diffusione, attraverso l’esame delle prove orali assunte in primo grado (nel quale il Tribunale aveva accolto la domanda dei ricorrenti) e della cartella clinica, con approdo conclusivo, sulla base di “dati che depongono per una esposizione di marcata entità alla sostanza cancerogena” del lavoratore ad un esplicito ed inequivoco riconoscimento di “alta probabilità” del “rapporto causale tra esposizione ad asbesto e neoplasia per quanto attiene alla causa di morte” della vittima ed infine, pur su dati, in mancanza del suo certificato necroscopico, non restituenti “elementi di certezza per poter indicare la causa della morte del soggetto”, tuttavia non tali da precluderne la riconduzione “in termini di ipotesi … più probabile come dovuta alla neoplasia”.

Appariva dunque evidente l’obiettiva impossibilità di individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione, in assenza degli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, sulla sola base di un lacunoso e contraddittorio richiamo di una relazione di C.t.u., di ben più ampia e problematica indagine critica e pervenuta ad una conclusione di alta probabilità del nesso causale tra esposizione del lavoratore alla sostanza cancerogena e così pure tra insorgenza della patologia tumorale e decesso.

La redazione giuridica

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