La prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di capitali investiti in una società autorizzata ad operare come fiduciaria dal Ministero dello sviluppo economico decorre dal deposito dello stato passivo della liquidazione

La vicenda

Alcuni investitori avevano agito in giudizio – in tempi diversi, anche mediante interventi spiegati in corso di causa – nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico chiedendo il risarcimento dei danni subiti per la perdita di capitali investiti a seguito del dissesto finanziario delle società nelle quali avevano conferito somme di denaro, sulla cui attività il Ministero aveva l’obbligo di vigilare, assumendo che tale vigilanza non fosse stata svolta in modo adeguato.

Tutte le domande proposte dagli investitori (sia quelli che avevano originariamente agito in giudizio, sia quelli che erano successivamente intervenuti proponendo analoghe domande) erano state accolte dal Tribunale di Roma, sulla base di due successive sentenze (la prima di accertamento della responsabilità e la seconda di liquidazione dei danni).

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma delle indicate decisioni di primo grado, aveva tuttavia, rigettato alcune delle domande per intervenuta prescrizione ed altre per difetto di prova, ne aveva, invece, confermate altre, procedendo però ad una diversa (inferiore) liquidazione del danno.

La vicenda è giunta in Cassazione. A detta dei ricorrenti la corte di appello aveva errato nel ritenere che la prescrizione dei loro diritti avesse cominciato a decorrere dal giorno del deposito dello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della società fiduciaria cui avevano conferito i loro risparmi, in quanto a tale data non era ancora possibile per loro avere contezza del danno subito per la perdita di capitali investiti.

Il termine (di prescrizione) avrebbe dovuto cominciare a decorrere solo dalla chiusura della procedura concorsuale, quando cioè sarebbe stato chiaro se i crediti ammessi al passivo sarebbero stati o meno pagati.

In altre parole, a detta dei ricorrenti, la corte d’appello aveva male applicato i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17572 del 18/07/2013), in base ai quali “posto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della derivazione causale dell’uno dall’altro, nonchè dello stesso elemento soggettivo del dolo o della colpa che connota l’illecito suddetto, nel caso di domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e finalizzata al ristoro dei danni derivanti dalla perdita di risparmi, affidati a società autorizzata ad operare come fiduciaria dal medesimo Ministero perchè fossero investiti in programmi finanziari, deve ritenersi che il “dies a quo” della prescrizione del diritto al risarcimento decorra non dalla revoca dell’autorizzazione, già rilasciata alla medesima società, ad operare come fiduciaria del Ministero, nè dalla sua messa in stato di liquidazione coatta amministrativa, bensì dal deposito dello stato passivo della liquidazione, in quanto solo in tale momento il soggetto danneggiato ha potuto apprezzare la vastità e la gravità delle irregolarità della società fiduciaria e, conseguentemente, l’intempestività, l’incompletezza e le omissioni nelle attività di vigilanza demandate al Ministero”.

Ma il ricorso è stato dichiarato infondato (Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, sentenza n. 4683/2020).

Per i giudici della Suprema Corte la decisione impugnata era pienamente conforme, in diritto, al precedente indicato, nel fissare la decorrenza della prescrizione dal momento in cui il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, fosse stato in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della derivazione causale dell’uno dall’altro, nonchè dello stesso elemento soggettivo del dolo o della colpa che connota l’illecito.

In fatto, i giudici di merito avevano poi accertato che sin dal momento del deposito dello stato passivo della liquidazione era possibile per gli investitori, usando l’ordinaria diligenza, avere chiara percezione del danno subito (cioè dell’enorme squilibrio tra passivo accertato e presumibile attivo da realizzare, che avrebbe reso certamente impossibile il recupero delle somme investite), oltre che degli elementi dell’illecito posto in essere dal Ministero.

La decisione

“Quest’ultimo – hanno chiarito gli Ermellini – costituisce un accertamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile in sede di legittimità”.

Peraltro, i ricorrenti non avevano neppure chiarito se e quando la procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa sarebbe stata chiusa, e con quale esito per i loro crediti.

Per queste ragioni, le censure di violazione delle disposizioni di legge in tema di decorrenza della prescrizione sono state rigettate.

La redazione giuridica

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