Plastica alla parete addominale viene contestata come eseguita in maniera errata dal paziente che cita a giudizio l’Azienda Sanitaria ritenuta responsabile degli esiti infausti (Tribunale di Rieti, Sentenza n. 343/2021 del 18/06/2021 RG n. 895/2018-Repert. n. 616/2021 del 18/06/2021).

Plastica alla parete addominale svolta con imperizia. Il paziente espone di essere stato sottoposto ad intervento chirurgico (principale) di colecistectomia  per via laparoscopica (intervento proc. chirurgica secondaria) in anestesia generale; che successivamente all’intervento, era insorta una patologia legata al laparocele postoperatorio che, divenuta sintomatica e fastidiosa, lo aveva costretto a rivolgersi nuovamente alla Struttura per il trattamento della stessa. In data 22.03.2013, visto l’esito sfavorevole del primo intervento chirurgico, con diagnosi laparocele su cicatrice sottocostale dx, era stato sottoposto, presso il medesimo nosocomio ad un secondo intervento chirurgico di plastica alla parete addominale con posizionamento di protesi in parietene, in anestesia generale.

Dopo l’intervento di plastica alla parete addominale si era venuta a manifestare precocemente una tumefazione ancora più voluminosa di quella originaria, sempre nella sede sottocostale destra,  e il paziente si rivolgeva nuovamente alla Struttura lamentando sintomatologia algica addominale ricorrente e senso di ingombro costituito dalla voluminosa tumefazione addominale.

Nel referto della visita chirurgica si legge: “Laparocele recidivo in prossimità mediale di cicatrice di incisione sottocostale dx, non complicata. Si consiglia TC addome (studio parete addominale) e successiva rivalutazione chirurgica per programmare intervento chirurgico di plastica della parete addominale addominale”. Successivamente, in data 02.10.2013 il paziente si era sottoposto a visita TC addominale (studio parete addominale) presso il medesimo nosocomio, il cui referto riporta: “…In corrispondenza della parete addominale anteriore, a livello sovraombelicale medianoparamediano destro si rileva un laparocele che presenta una breccia delle dimensioni di 7 cm, con relativo impegno di un’ansa intestinale colica. In via collaterale si apprezzano nodulazioni linfonodali centrimetriche inguinali bilaterali “.

La relazione del CTP del ricorrente evidenzia: “ l’intervento chirurgico eseguito nel mese di marzo 2013, non solo non ha risolto la sintomatologia del soggetto, bensì ha determinato il peggioramento della situazione a livello locale, con formazione di una tumefazione addominale di dimensioni addirittura superiori a quella originaria, con conseguente insorgenza di una sintomatologia algica addominale ricorrente ancor più rilevante rispetto a quella che s i era determinata in precedenza ,,,,, esistenza di un danno biologico quantificato nella misura del 25% della totale, nonché 30 giorni di inabilità temporanea totale e 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%, in considerazione della gravità della patologia psichica”.

Il CTU ha accertato: “Con riguardo, invero, all’intervento di colecistectomia eseguito il 05.08.2009, è stato rilevato che esso fu condotto su corretta indicazione ed in maniera adeguata rispetto alla patologia in atto: infatti dopo un iniziale approccio laparoscopico, in presenza di “intensa sclerosi del legamento epatobiliare”, fu effettuata una conversione con incisione laparotomica sottocostale destra. La procedura appare assolutamente corretta ed il decorso clinico, senza complicanze immediate, lo dimostra” ….. “In particolare l’incisione laparotomica si rese necessaria per la difficoltà ad isolare per via laparoscopica gli elementi del peduncolo della colecisti e del triangolo di Calot: questo fu dovuto alla reazione fibrosa, legata alla colecistite, che impediva un sicuro approccio laparoscopico con valida visualizzazione ed identificazione degli elementi anatomici. Proseguire l’intervento per via laparoscopica sarebbe stato oltremodo rischioso e bene fecero i chirurghi a convertire in laparotomia” ……. “La laparotomia fu eseguita per via sottocostale destra: tale tipo di incisione permette un più agevole accesso al fegato ed alle vie biliari, inoltre presenta nelle casistiche internazionali una relativa riduzione del dolore post -operatorio ed una minore frequenza di laparoceli in confronto all’incisione mediana, pertanto, la scelta del tipo di laparotomia è sicuramente condivisibile”. ” La comparsa di un laparocele fa parte delle complicanze possibili dopo una laparotomia. Tale evenienza è decisamente più frequente nelle laparotomie mediane, ma può presentarsi anche in quelle oblique come la sottocostale. La presenza di condizioni particolari quali l’obesità e diabete, come nel nostro caso, possono aver facilitato l’insorgere della complicanza.  E’ possibile anche ipotizzare tra le cause del laparocele un difetto di tecnica, ovvero una imprecisa sutura dei piani di parete alla fine dell’intervento di colecistectomia: tale ipotesi appare possibile, ma poco probabile in quanto va riconosciuto un ruolo fondamentale nel determinismo della complicanza alla obesità ed al diabete. Per quanto riguarda, invece, l’intervento riparativo di plastica della parete addominale eseguito il 22.03.2013, vi è un evidente profilo di violazione delle leges artis da parte dei sanitari, laddove evidenzia che “Nella descrizione dell’intervento non viene descritto il posizionamento di punti di ancoraggio della protesi per cui dobbiamo desumere che la rete, in quanto autoancorante, non fu fissata con punti”.

Ne consegue che l’Azienda Sanitaria, avuto riguardo alle modalità di esecuzione dell’intervento del 22.03.2013 di plastica della parete addominale viene ritenuta responsabile.

Il CTU ha stimato un danno permanente del 18%, tuttavia l’invalidità che sarebbe comunque residuata quand’anche il trattamento medico fosse stato eseguito in modo conforme alle regole dell’arte corrisponde al 9%: l’incremento dello stato invalidante è quindi del 9%.

Avv. Emanuela Foligno

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