Omessa diagnosi dello stato terminale del paziente: si tratta di una voce di danno non patrimoniale autonoma e distinta dal danno biologico. (Cass. Civ., Ordinanza n. 34813 del 17 novembre 2021)

L’omessa diagnosi dello stato terminale del paziente, secondo l’elaborazione Suprema Corte, può dar luogo ad un pregiudizio autonomamente meritevole di ristoro rispetto al danno biologico terminale ed al danno da perdita di chance di maggior sopravvivenza, poiché realizza un danno ontologicamente diverso rispetto a quello strettamente legato all’integrità psico-fisica del malato od alla perdita della possibilità di un’occasione più favorevole.

La Suprema Corte, si allinea al pregresso orientamento (Cass. n. 7260/2018), accogliendo i motivi di gravame dei ricorrenti aventi ad oggetto l’autonoma domanda risarcitoria da lesione dell’autodeterminazione del paziente defunto (lesione determinata dalla colpevole omissione diagnostica di una patologia terminale, il cui credito risarcitorio è stato trasmesso iure hereditatis agli eredi).

“L’omessa diagnosi dello stato terminale configura un danno autonomamente risarcibile nella misura in cui la colpevole omissione diagnostica abbia negato al paziente – oltre che di essere posto nelle condizioni di scegliere le migliori opzioni terapeutiche, anche palliative, consentanee alla fruizione della salute/vita residua fino all’esito infausto, soprattutto – di essere posto nella condizione di programmare appieno il suo essere persona e, quindi, di garantire la piena esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche fino all’inevitabile esito della vita.”

La colpevole errata, tardiva, omessa diagnosi dello stato terminale, ovverosia di una patologia terminale, integra un danno risarcibile anche qualora una più precoce diagnosi non avrebbe comunque avuto incidenza causale sull’evoluzione della malattia, poiché l’area dei pregiudizi risarcibili. in ipotesi così particolarmente incidenti sulla condizione di vita dell’individuo, si estende anche a quella “perdita di un ventaglio di opzioni con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima”.

In altri termini, il danno consiste nella perdita per il paziente di utilizzare e/o prendere in considerazione, opzioni attraverso le quali affrontare – sia dal punto di vista esteriore (dinamico-relazionale) che interiore, la prospettiva di un exitus ormai prossimo ed ineluttabile.

La risarcibilità di tale pregiudizio, distinto e autonomo rispetto alle altre componenti del danno non patrimoniale,  deriva dalla lesione  autonomamente apprezzabile del diritto di scelta riconosciuto al paziente che si trovi in fin di vita e la cui violazione produca effetti dannosi consistenti nel non aver consentito di rassegnarsi alla propria condizione, nè di affrontare liberamente e consapevolmente la fine della sua vita, poiché “in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all’opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione.”

La risarcibilità del pregiudizio derivante da omessa diagnosi dello stato terminale, segue il percorso argomentativo della decisione della Suprema Corte 7260/2018.

Il ragionamento ivi seguito evidenzia che “Il senso della compromissione della situazione soggettiva di libertà appare d’immediata comprensione non appena si rifletta sulla circostanza per cui…anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali che il velo d’ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale”.

Ciò che deve essere tutelato, in altri termini, è la percezione del paziente terminale quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale; e tanto, proprio nel momento della più intensa ed emotivamente pregnante prova della vita, qual è il confronto con la realtà della fine.

Avv. Emanuela Foligno

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