Riconosciuti come “vittime secondarie” i congiunti di un uomo morto per un cancro ai polmoni dopo aver inalato per circa 35 anni polveri di amianto sul luogo di lavoro

Il ministero della Difesa dovrà liquidare  un milione e 480mila euro ai familiari di un dipendente civile deceduto per aver inalato polveri d’amianto nelle sale macchina delle navi e nelle officine dell’Arsenale militare marittimo di Augusta. L’uomo è morto nel 2017, all’età di 63 anni, per un cancro ai polmoni diagnosticatogli appena due anni prima, nel 2015,  dopo che aveva lavorato per quasi 35 anni sia nelle sale macchina delle navi della Marina militare, che nelle officine a terra, come “conduttore di caldaie”. Sarebbe stato quindi sempre a contatto diretto con l’amianto in luoghi chiusi e non aerati.

La vedova e i tre figli avevano agito in giudizio nei confronti del dicastero nella convinzione che  il loro congiunto avesse contratto la malattia proprio sul posto di lavoro, dove peraltro non sarebbero stati rispettati gli obblighi per la tutela della sua salute.

Il Tribunale di Siracusa accolto le istanze dei familiari definiti “vittime secondarie” condannando il Ministero al risarcimento del danno.

Il Giudice del lavoro, in particolare, ha riconosciuto alla parte ricorrente di aver “pienamente provato la nocività dell’ambiente di lavoro, l’esistenza del danno nonché il nesso eziologico tra il decesso e la patologia (adenocarcinoma polmonare) contratta nell’ambiente di lavoro in seguito ad esposizione ad amianto”

Tenuto conto della natura e della particolare intensità del legame tra vittime secondarie (coniuge e figli del defunto) e vittima primaria (il lavoratore defunto), nonché del massimo sconvolgimento della vita familiare determinato dalla perdita di uno strettissimo congiunto, il Collegio ha ritenuto equo liquidare a ciascuno dei ricorrenti l’importo massimo di 331.920 euro.

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