Il protrarsi nel tempo di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, può integrare un elemento presuntivo di esclusione della tolleranza solo nei rapporti labili e mutevoli, ma non nei casi di vincoli di stretta parentela

La vicenda

La Corte di Appello di Roma aveva confermato il rigetto della domanda di usucapione proposta dall’attore nei confronti di due sorelle, avente ad oggetto l’acquisto di un appartamento.

Ebbene, la corte di merito aveva ritenuto che l’attore non avesse fornito la prova del possesso né che avesse la disponibilità dell’immobile a titolo di comodato, concesso dalla sorella o per tolleranza della stessa.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l’originario attore, sulla base di cinque motivi.

La controversia è stata definita dai giudici della Seconda Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 20508/2019), i quali hanno in primo luogo, chiarito che “è onere di chi chiede accertarsi l’intervenuta usucapione, dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus – dimostrando di essere nella disponibilità del bene ma anche l’animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire.

Ai fini dell’usucapione è, infatti, necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cassazione civile sez. II, 02/10/2018, n. 23849)”.

Quando è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell’art. 1141 c.c., comma 1, la presunzione che esso integri il possesso; di conseguenza, incombe alla parte, che invece, correla detto potere alla detenzione, provare il suo assunto (vale a dire, che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale – ovvero per tolleranza del titolare del diritto), dovendosi ritenere, in mancanza, l’esistenza della prova della possessio ad usucapionem.

A ciò è stato aggiunto che, ai fini della sussistenza del possesso utile per usucapire, oltre al riscontro di un comportamento continuo e non interrotto, incombe sull’attore la dimostrazione della cosiddetta interversio possessionis, che gli avrebbe consentito di mutare il titolo originario di questo rapporto con la cosa, ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2.

La tolleranza nei rapporti di parentela

Nell’indagine diretta a stabilire se una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza ex art. 1144 c.c., e sia, perciò, inidonea all’acquisto mediante possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo della esclusione di detta situazione di tolleranza e della sussistenza di un vero e proprio possesso.

Tale presunzione, tuttavia, è inoperante quando la tolleranza si colleghi a un rapporto di parentela tra i soggetti interessati, giacché lo stretto legame familiare consente al dominus di esimersi dalla necessità di rivendicare periodicamente la piena titolarità della res nei confronti del parente beneficiario del godimento del bene.

In altre parole, il protrarsi nel tempo di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, può integrare un elemento presuntivo di esclusione della tolleranza solo nei rapporti labili e mutevoli, ma non nei casi di vincoli di stretta parentela, nei quali è plausibile il mantenimento di un atteggiamento tollerante anche per un lungo arco di tempo.

La decisione

La corte territoriale aveva perciò correttamente posto a carico del ricorrente l’onere della prova di aver esercitato un potere di fatto sull’immobile corrispondente a quello del proprietario, che può possedere anche solo animo.

Un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, con il quale il giudice d’appello aveva ritenuto sussistenti elementi fattuali idonei a dimostrare che la relazione del ricorrente con il bene scaturisse da un rapporto di comodato con la sorella o al più da mera tolleranza, derivanti dal rapporto di familiarità.

Per tali motivi, la corte aveva escluso che la mera gestione del bene integrasse un atto di interversione del possesso nei confronti della proprietaria, idoneo al mutamento del titolo.

Il ricorso è stato perciò respinto e confermata, in via definitiva, la sentenza impugnata.

La redazione giuridica

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