Respinto il ricorso di un cittadino contro la decisione di merito, basata sulla consulenza espletata in appello, che escludeva il beneficio richiesto per pregressa esposizione all’amianto
Con l’ordinanza n. 8429/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un cittadino che si era visto respingere, in sede di merito, la domanda proposta per il riconoscimento in suo favore dell’indennizzo in capitale per danno biologico conseguente a malattia dovuta a pregressa esposizione all’amianto. La Corte territoriale aveva negato la prestazione sulla base della consulenza tecnica espletata in grado di appello.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente eccepiva, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 132 c.p.c. e l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso (artt. 360 n. 4 e n.5 c.p.c.), per avere la Corte omesso di valutare le censure di parte e di giustificare la preferenza della CTU di secondo grado rispetto a quella di primo grado.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto infondata la doglianza evidenziando che “quando, in presenza di due successive contrastanti consulenze tecniche d’ufficio (nella specie, la prima disposta nel giudizio di primo grado e la seconda in sede di gravame), il giudice aderisca al parere del consulente che abbia espletato la sua opera per ultimo, la motivazione della sentenza è sufficiente – ed è escluso quindi il vizio di motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. pur se tale adesione non sia specificamente giustificata, ove il secondo parere tecnico fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti nella prima relazione o “aliunde” deducibili”. In tal caso – hanno sottolineato dal Palazzaccio – le doglianze di parte, che siano solo dirette al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico e non individuino gli specifici passaggi della sentenza idonei ad inficiarne, anche per derivazione dal ragionamento del consulente, la logicità, non possono configurare l’anzidetto vizio di motivazione”.
Ritenuto invece inammissibile il motivo in cui si contestava alla Corte territoriale di avere meramente aderito alle risultanze della CTU, senza tener conto delle contestazioni di parte. Per la Cassazione, infatti, la censura si traduceva in un semplice dissenso diagnostico, e, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice. Al proposito i Giudici di Piazza Cavour hanno ricordato che “nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis cod.proc.civ.)”.
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