Prescrizione dei diritti derivanti da contagio da emotrasfusioni

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emotrasfusioni

La paziente cita a giudizio il Ministero della Salute e l’ASL di Crema per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle emotrasfusioni praticate presso l’Ospedale Generale di Zona Santa Marta, con sede a Rivolta d’Adda, in provincia di Crema, in esito all’intervento chirurgico del 27 aprile 1977, per metrorragia da placenta previa con abbondante perdita ematica, e che le avevano trasmesso il virus dell’HCV.

I giudizi di merito

Il Tribunale condannava in solido sia il Ministero che la Gestione Liquidatoria, al pagamento, in favore dell’attrice, della complessiva somma di 465.897,55 euro. La Corte di Appello, invece, riformava parzialmente, osservando:  

  • la responsabilità del Ministero era extracontrattuale, con prescrizione quinquennale utilmente eccepita e decorsa.
  • Dopo le due trasfusioni di sangue avvenute nel corso dell’intervento chirurgico di taglio cesareo dell’aprile del 1977, all’attrice, in occasione della nuova degenza presso l’Ospedale Sacco di Milano dal 20 al 30 giugno 1977, era stata diagnosticata “epatite infettiva non A non B”, finché, dopo vari e più approfonditi accertamenti, il 14 gennaio 2000 presso l’Ospedale Generale di Zona San Giuseppe di Milano e il 21 dicembre 2000 presso il Reparto di Immunoematologia dell’Ospedale Sant’Antonio Abbate di Trapani, era stato accertato che aveva contratto l’epatite C.
  • Il nesso causale era da ritenere sussistente, stante la compatibilità temporale con le trasfusioni e la risultata mancanza di altre possibili fonti di contagio.
  • Quanto, invece, alla responsabilità contrattuale della Gestione Liquidatoria, rispetto alla quale la prescrizione decennale non poteva dirsi decorsa, la stessa deducente si era limitata ad allegare di aver rispettato le regole del tempo concernenti il reperimento e la registrazione delle sacche di materiale ematico, acquisendole dal Laboratorio di Analisi dell’Ente Ospedaliero Consorzio Treviglio-Caravaggio, e dal Centro Trasfusionale AVIS di Milano, in base a convenzioni tra gli enti in essere al momento del fatto in attesa della ristrutturazione dell’Ospedale, sicché la circostanza dell’approvvigionamento da terzi, relativamente ai quali non era dato sapere se tenuti o meno a seguire i protocolli richiesti, non poteva divenire esimente.

Il ricorso in Cassazione

In Cassazione la vittima sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato affermando che i medici di Rivolta d’Adda dovevano controllare che le sacche di sangue fossero esenti da “virus” ancorché fornite da centro accreditato di Milano e/o dall’AVIS, come accertato dal proprio consulente di parte. Avrebbero omesso di tenere in considerazione che al momento delle emotrasfusioni non era possibile individuare il virus HCV, per il quale la comunità medica solo alla fine degli anni ’80, nel 1988, 11 anni dopo il fatto, aveva elaborato uno specifico “test” diagnostico di laboratorio attendibile.

Le censure non si misurano con la ratio decidendi secondo cui nell’ipotesi in scrutinio “il sangue era stato fornito da un circuito diverso da quello della rete sanitaria nazionale (Laboratorio di Analisi dell’Ente Ospedaliero o Centro Trasfusionale AVIS di Milano), e dunque la danneggiata era tenuta a dimostrare di aver eseguito autonomamente tutti gli esami necessari per scongiurare il pericolo di contagio”.

A fronte di ciò nulla sposta che si era trattato di un centro “a tal fine incaricato” dell’approvvigionamento di derivati ematici. Per ciò che concerne, invece, le sacche di provenienza AVIS, la Corte territoriale ha accertato che non risultava certezza che nello specifico fossero state utilizzate, e parte ricorrente discorre di affermazioni del proprio CTP secondo cui “l’individuazione delle sacche in cartella appare chiaro essendo indicate almeno due sacche con numero 61599 e 61592 entrambe dell’AVIS di Milano“, senza spiegare su quale base probatoria avrebbe dovuto poggiare tale conclusione, e senza neppure affermare che si sarebbe trattato delle uniche sacche utilizzate.

Per tale ragione non vi è stato omesso esame in quanto, attesa la doppia decisione conforme dei Giudici di merito, non essendo stato dimostrato che, sul punto, le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse.

La decorrenza della prescrizioni in caso di contagio da emotrasfusioni

Venendo alla censura inerente il termine prescrizionale, la vittima si contraddice in quanto per un verso vorrebbe far decorrere la conoscenza utile alla decorrenza della prescrizione dalla diagnosi di epatite “infettiva” del 1977, per altro verso da quella cronica “HCV” del 2008. Ad ogni buon conto, muovendo dal presupposto per cui la decorrenza in parola opera quando vi è consapevolezza del pregiudizio relativamente al quale si domanda ristoro, ovvero della contrazione del “virus” HCV, e non di altro seppure assimilabile, l’accertamento fattuale del Giudice di merito ha fatto idoneamente capo alle descritte ammissioni della parte attrice, con risalenza all’anno 2000.

La “pretesa” della paziente di distinguere “epatite generica” da “epatite HCV” non è percorribile (Cassazione civile, sez. III, 05/07/2024, n.18460).

Avv. Emanuela Foligno

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