Presunzioni semplici e distribuzione di utili extracontabili sono al centro di un recente intervento della Cassazione, che chiarisce l’onere probatorio a carico del contribuente nelle società a ristretta base partecipativa. L’accertamento di un maggior reddito d’impresa in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria genera la presunzione semplice che tale reddito sia stato attribuito in forma di utili extracontabili ai soci, anche se non legati fra loro da vincoli familiari (Corte di Cassazione, V – Tributaria civile, ordinanza 9 maggio 2025, n. 12288).
La vicenda
La ADER, Direzione Provinciale di Reggio Calabria dell’Agenzia delle Entrate, emette nei confronti di una Associazione Linguistica regionale un avviso di accertamento con il quale rideterminava il reddito d’impresa ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per l’anno 1993, operando le conseguenti riprese fiscali.
Successivamente il medesimo Ufficio notificava alla socia P.N. e al marito codichiarante C.A. – a quest’ultimo nella veste di responsabile in solido per il pagamento dell’imposta – altro avviso di accertamento relativo allo stesso anno 1993, mediante il quale, in virtù della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili conseguiti da società di capitali a ristretta base proprietaria, imputava alla prefata contribuente, in proporzione alla sua quota di partecipazione del 44%, un più elevato reddito di capitale, recuperandolo a tassazione ai fini dell’IRPEF.
Sentenza di assoluzione e valutazione del giudice tributario
I coniugi impugnano l’avviso di accertamento e il Giudice, in accoglimento, annulla l’atto impositivo. Tale decisione viene confermata anche dalla CTR in secondo grado.
Secondo la Commissione di secondo grado, sulla scorta degli accertamenti compiuti nel processo penale svoltosi a carico della P. davanti al Tribunale di Reggio Calabria per il reato di cui all’art. 1, comma 2, lettera c), del D.L. n. 429 del 1982, convertito in L. n. 516 del 1982, conclusosi con la pronuncia di sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto emessa dal GIP in data 29 maggio 2000, doveva ritenersi superata la presunzione di distribuzione degli utili posta a base della pretesa tributaria.
ADER impugna in Cassazione il provvedimento.
Doglianze in Cassazione e valutazione della prova penale
Sostiene che la CTR avrebbe posto a fondamento della decisione circostanze fattuali e giuridiche estranee all’anno di imposta in contestazione (1992), avendo essa affermato, nel dispositivo della sentenza, di statuire sull’appello proposto avverso una pronuncia di primo grado diversa da quella impugnata (n. 131/06/2001, anziché 132/06/2001).
Sostiene anche che la CTR avrebbe erroneamente attribuito efficacia vincolante alla sentenza penale di assoluzione emessa nei confronti della P. dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria, senza procedere a un autonomo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti in corso di causa.
La Corte di Cassazione accoglie parzialmente le doglianze.
Onere della prova e presunzione semplice nel processo tributario
Nel caso di specie la CTR non ha attribuito valore di prova legale, o forza di giudicato alla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti della P. dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria, ha ritenuto, invece, nell’esercizio del suo prudente apprezzamento delle prove, che gli accertamenti compiuti in sede penale conducessero ad escludere l’avvenuta percezione da parte della contribuente degli utili extracontabili recuperati a tassazione dall’Ufficio.
Consolidata giurisprudenza afferma che l’accertamento di un maggior reddito d’impresa in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria genera la presunzione semplice che tale reddito sia stato attribuito in forma di utili extracontabili ai soci, anche se non legati fra loro da vincoli familiari (cfr. Cass. n. 17107/2024), con la conseguenza che incombe su questi ultimi l’onere della prova contraria, consistente nel dimostrare che i ricavi accertati non sono stati ripartiti, bensì accantonati o reinvestiti, oppure che essi soci sono rimasti completamente estranei alla gestione e alla vita societaria.
Prova a carico del contribuente e presunzioni semplici
Per poter giovare di questa “presunzione”, l’ADER è tenuta a provare unicamente la ristretta base sociale, non essendo necessario che l’avviso di accertamento relativo ai soci si fondi anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore non giustificabile sulla base dei redditi dichiarati (cfr. Cass. n. 16913/2020).
Ed ancora, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente plurimi, in quanto il convincimento del Giudice può fondarsi anche su un unico elemento, purché grave e preciso, essendo il requisito della “concordanza” menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (cfr. Cass. n. 4514/2024, Cass. n. 24643/2021, Cass. n. 17574/2009, Cass. n. 19088/2007).
Valutazione della CTR e motivazione carente sulla prova contraria
Calando tale ragionamento alla questione in analisi, la CTR calabrese, consapevole dell’esistenza del diffuso orientamento di legittimità di cui si è detto, ha ritenuto essere stata fornita dalla contribuente la prova contraria idonea a superare la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili posta a base dell’accertamento tributario.
Sul punto ha evidenziato che “l’attività di indagine integrativa compiuta dal Pubblico Ministero nell’àmbito del procedimento penale a carico della P. non aveva offerto elementi da cui potesse desumersi che effettivamente l’imputata avesse percepito i redditi che si assumevano non indicati nella dichiarazione annuale”.
Ebbene, il ragionamento applicato dalla CTR nella decisione impugnata, non applica le regulae iuris sopra enunciate, avendo i Giudici d’appello erroneamente reputato assolto l’onere della prova contraria gravante sulla contribuente, senza in alcun modo spiegare donde si ricaverebbe che gli utili occulti conseguiti dalla società partecipata fossero stati accantonati o reinvestiti o che ricorressero altre situazioni peculiari idonee ad escludere la percezione del maggior reddito presuntivamente attribuito dall’Ufficio.
Differenza tra processo penale e tributario e cassazione della decisione
Invece, la CTR ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che nel giudizio penale non fossero emersi elementi sufficienti per poter affermare, secondo la regola probatoria dell’oltre ogni ragionevole dubbio ivi vigente, che la P. avesse effettivamente incassato gli utili di cui trattasi.
Ad ogni modo la CTR non ha considerato che:
• nel processo tributario, a differenza di quello penale, opera in danno dei soci di società a ristretta base partecipativa la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili accertati in capo al sodalizio.
• la prova contraria cui è tenuto il contribuente, avendo ad oggetto un fatto negativo, deve essere fornita attraverso la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario – e cioè che gli utili in questione sono stati accantonati o reinvestiti o che il contribuente medesimo è rimasto del tutto estraneo alla gestione e alla vita societaria – oppure mediante presunzioni dalle quali possa desumersi tale fatto negativo (sull’argomento cfr. Cass. n. 25603/2023, Cass. n. 22176/2023, Cass. n. 8018/2021, Cass. n. 8968/2020).
Sussiste, pertanto, la dedotta falsa violazione di legge lamentata in Cassazione, e in particolare del comma 3, il quale consente di ricavare la prova dell’incompletezza, falsità e inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione delle persone fisiche anche da presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
La decisione viene cassata nei limiti della censura accolta.
Avv. Emanuela Foligno
Leggi anche: