Superamento del periodo di comporto e obbligo informativo del datore di lavoro

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Il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto può risultare illegittimo se il datore di lavoro non adempie all’obbligo di informare preventivamente il lavoratore della scadenza imminente del periodo stesso, come previsto dal contratto collettivo. In assenza di tale comunicazione, il recesso viola le garanzie procedurali e può essere annullato (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 9 maggio 2025, n. 12293).

I fatti

Il 5 novembre 2021, la società Louis Vuitton ha intimato un licenziamento a un proprio dipendente per superamento del periodo di comporto. Il lavoratore ha impugnato il provvedimento, ottenendo in fase sommaria l’accoglimento della domanda di tutela reintegratoria. Tuttavia, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 510/2023, ha accolto solo parzialmente l’opposizione proposta dalla società: ha confermato l’illegittimità del licenziamento ma ha escluso la reintegrazione, condannando Louis Vuitton al pagamento della sola tutela indennitaria, pari a 20 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal dipendente al momento del licenziamento. La Corte d’appello di Venezia ha poi rigettato il reclamo della società contro tale sentenza con decisione del 12 giugno 2024.
Avverso questa ultima pronuncia, il noto brand di moda ha proposto ricorso.

Interpretazione dell’art. 58 CCNL Calzature

In particolare, la Corte territoriale ha rigettato l’unico motivo di reclamo proposto, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 58 del CCNL Addetti all’Industria delle Calzature, ritenendo, conformemente a quanto già considerato in primo grado, che la norma imponesse a carico del datore di lavoro l’obbligo di informare il lavoratore almeno un mese prima della imminente scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro e che tale obbligo era stato violato, con conseguente illegittimità del licenziamento, posto che la società si era attivata solo dopo l’avvenuto superamento del periodo di comporto.
I giudici di appello, ergo, dopo avere rilevato che non avendo il lavoratore proposto reclamo incidentale non era devoluta al Collegio la questione della tipologia di tutela applicabile (tutela reintegratoria o tutela indennitaria), hanno confermato la pronuncia di primo grado.
La società Louis Vuitton propone ricorso in Cassazione.

Ricorso principale della società e motivi

Lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 58 CCNL per i Lavoratori Addetti all’Industria delle Calzature, e la nullità della sentenza per difetto/contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la funzione della comunicazione che deve precedere il licenziamento, imposta dalla suddetta norma contrattuale, sia quella di “porre il lavoratore nelle condizioni di determinarsi in relazione ad ogni ulteriore evoluzione della propria condizione”, e più in particolare di metterlo “nelle condizioni di accedere ad istituti alternativi (ferie, aspettativa)”, laddove dalla lettera della norma si evince una funzione meramente “informativa”, finalizzata a consentire al lavoratore di verificare la correttezza dei conteggi aziendali, finalità nel caso di specie pienamente garantita.
Con ricorso incidentale il lavoratore deduce ex art. 360 n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la Corte d’appello compensato le spese di lite, nonostante l’integrale rigetto del reclamo, fondando tale statuizione sulla “controvertibilità della questione, chiarita dalla giurisprudenza di legittimità solo di recente”. Deduce che, non avendo il lavoratore impugnato il capo della sentenza relativo alla tipologia di tutela (reintegratoria o indennitaria) spettante in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento, l’unica questione devoluta in appello era quella della legittimità del licenziamento intimato in violazione di una norma collettiva, questione che non presentava i crismi né della novità né della controvertibilità.

Il superamento del periodo di comporto

Il ricorso principale della società datrice di lavoro è infondato. Il superamento del periodo di comporto costituisce un’autonoma fattispecie di recesso, regolata dall’art. 2110, secondo comma, c.c., che conferisce all’imprenditore il diritto di recedere dal contratto di lavoro “a norma dell’art. 2118 c.c.” quando la malattia del lavoratore si sia protratta oltre il periodo stabilito dalla legge, dal contratto collettivo o dagli usi.
Tale previsione prevale, quale disposizione speciale, sulla generale disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro (Legge n. 604 del 1966) nonché sulla disciplina in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.) e persegue la ratio di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere la produttività dell’azienda) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione).
Ebbene, è stato affermato dalla giurisprudenza che, in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha l’onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza e superamento del periodo di comporto per malattia al fine di permettergli di esercitare eventualmente la facoltà di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa.

Obbligo informativo del datore e CCNL

Infatti non è rilevante, in tali casi, la mancata conoscenza, da parte del lavoratore, del limite c.d. esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie e non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell’approssimarsi del superamento del periodo di comporto, posto che tali principi operano come norme di relazione con funzione di fonti integrative del contratto ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di autonomia privata.
Tuttavia, nel caso concreto, il CCNL applicato in azienda prevede espressamente, all’art. 58 lett. B), l’obbligo in capo al datore di lavoro di informare il lavoratore almeno un mese prima dell’approssimarsi della scadenza del comporto. La norma contrattuale prevede, infatti, “Conservazione del posto”. Al lavoratore ammalato sarà conservato il posto con decorrenza dell’anzianità a tutti gli effetti contrattuali per 13 mesi. L’obbligo di conservazione del posto per l’azienda cesserà comunque ove nell’arco di 30 mesi si raggiungano i limiti predetti anche con più malattie con esclusione, per entrambi i limiti, dei periodi di ricovero ospedaliero. Almeno 1 mese prima della scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro, nei termini di cui al comma che precede, l’azienda provvederà ad informare il lavoratore interessato sulla sua situazione relativa al periodo di comporto.

Conseguenze della violazione del CCNL

In questa ipotesi, il contratto collettivo arricchisce la garanzia di conservazione del rapporto di lavoro prevista dall’art. 2110 c.c. imponendo, oltre alla tolleranza di un determinato periodo di tempo (13 mesi), anche la comunicazione preventiva (almeno un mese prima della scadenza) al lavoratore. Il rinvio dell’art. 2110 c.c. alle previsioni del contratto collettivo consente di ritenere che l’obbligo di comunicare l’approssimarsi del superamento del periodo di comporto, conformi, al pari dell’arco temporale massimo di comporto, l’esercizio del potere di recesso del datore di lavoro, che può, pertanto, risolvere legittimamente il rapporto di lavoro nel rispetto delle condizioni dettate dalle parti sociali.
La violazione del suddetto precetto risulta, pertanto, integrata non solo dalla omissione ma anche dalla tardività di detta comunicazione, avvenuta successivamente non solo al termine fissato dalla contrattazione collettiva ma addirittura alla scadenza del periodo di comporto.

La valutazione della Cassazione

Ad ogni modo la Cassazione esclude tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste – manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo dell’esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., operata dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, avendo la Corte d’appello chiaramente ed ampiamente esposto i motivi a sostegno della decisione.
Questo significa che correttamente il Giudice d’appello ha affermato che l’adempimento della comunicazione relativa alla scadenza del periodo di comporto mesi dopo la scadenza del termine stabilito costituiva violazione dell’art. 58 CCNL. Il licenziamento intimato senza la comunicazione, obbligatoria, dell’imminente scadenza del periodo di comporto, determina la illegittimità del licenziamento per violazione delle garanzie dettate dal combinato disposto degli artt. 2110 c.c. e 58 lett. B) del CCNL Lavoratori Addetti all’Industria delle Calzature.

Accoglimento del ricorso incidentale del lavoratore

Il ricorso incidentale del lavoratore, invece, viene accolto. La S.C. dà continuità all’orientamento secondo cui le gravi ed eccezionali ragioni, al pari di ogni altra clausola generale, devono essere specificate dal Giudice di merito in via interpretativa ed il giudizio, in quanto fondato su norme giuridiche, è censurabile in sede di legittimità e la Corte di Cassazione ha il potere di rilevare l’erroneità o l’illogicità del parametro utilizzato.
La sentenza impugnata viene, pertanto, cassata limitatamente al regolamento delle spese e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito con la condanna della società datrice ricorrente al pagamento, in favore della dipendente, delle spese processuali anche del grado d’appello.

Avv. Emanuela Foligno

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