La pubblicazione di immagini acquisite senza il consenso della parte committente di una prestazione d’opera, dai quali non si desumano riferimenti alla vita privata o ai beni personali, ma solo alle caratteristiche estetiche e tecniche del manufatto, esclude la violazione del diritto alla privacy

La vicenda

Due coniugi avevano agito in giudizio al fine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito per la pubblicazione di immagini della loro villa sul catalogo pubblicitario dell’impresa cui avevano dato incarico di rifare gli infissi, ledendo in tal modo il diritto alla loro riservatezza (privacy).

La Corte d’appello aveva rigettato la domanda considerando che 1) la sussistenza di un rapporto contrattuale per l’esecuzione di opere, in mancanza di una specifica pattuizione tra le parti, non comporta il divieto di realizzare foto, da pubblicare eventualmente a scopi pubblicitari, in quanto il divieto di fotografare, anche a fini pubblicitari, le opere realizzate deve essere espressamente richiesto dalla parte contraente; 2) sotto il diverso profilo della responsabilità extracontrattuale l’appello era inammissibile in quanto “il diritto alla riservatezza si configura come specificazione del diritto alla intimità privata, inteso come esigenza dell’uomo al godimento pieno ed esclusivo dell’intimità della persona e delle proprie azioni, laddove il bene che il soggetto intende tutelare non si trova al di fuori di lui ma inerisce alla persona medesima nella sua individualità fisica o esigenza morale e sociale”, mentre nel caso in esame mancava qualsiasi collegamento tra la riproduzione fotografica e la persona dei coniugi, trattandosi di foto neutre, raffiguranti le sole caratteristiche e qualità tecniche del prodotto fornito e installato; 3) mancava inoltre, pure l’elemento costitutivo del reato di indebita intrusione (denunciato dai ricorrenti) dal momento che le fotografie erano state scattate in occasione dei lavori dalla società che li aveva realizzati e che quindi aveva pieno diritto all’accesso all’immobile.

Il ricorso per cassazione

Contro la decisione della corte d’appello, i due coniugi hanno proposto ricorso per cassazione; ricorso che tuttavia, è stato dichiarato inammissibile perché sviluppato non in conformità al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. SU n. 7074 del 2017).

Invero, già l’appello era stato dichiarato inammissibile perché fondato sulla riproposizione di principi giurisprudenziali, senza alcun adattamento al caso concreto.

Quanto alla censura relativa alla mancata acquisizione del preventivo consenso allo scatto delle fotografie all’interno della privata abitazione e alla loro divulgazione, i giudici della Suprema Corte hanno affermato che in astratto il fatto contestato configurava violazione di obblighi contrattuali, “dovendo essere la condotta del contraente (il prestatore d’opera) improntata ai principi di correttezza e buona fede che impongono doveri di avviso o comunicazioni, di custodia o di sicurezza in riferimento a scatti nelle private dimore di cui un soggetto ha avuto accesso per eseguire una prestazione contrattuale”.

Il motivo, tuttavia, è stato ritenuto infondato dal momento che – come accertato dalla corte di merito – nelle foto acquisite e pubblicate senza il consenso degli interessati, non vi era alcun riferimento ad aspetti attinenti alla persona fisica o alla proprietà dei ricorrenti (…) visto e considerato il carattere neutrale delle riprese e la riferibilità delle immagini all’autore dell’opera. Tale giudizio sul contenuto delle immagini riprese per i giudici della Suprema Corte era stato fatto nei corretti termini, e, pertanto, insindacabile sede di legittimità.

La normativa sulla tutela della privacy

Invero secondo la normativa sulla privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 1, Codice in materia di protezione dei dati personali), rientra nella nozione di “dati personali”, qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata od identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. Costituiscono sempre dati personali quelli che riguardano la famiglia e altre situazioni personali, il lavoro, le attività economiche, commerciali, finanziarie ed assicurative, i beni, le proprietà e i possessi. Il dato è quindi un bene giuridico di secondo livello, un “contenitore vuoto” all’interno del quale si pone uno specifico contenuto che – se è personale – è relativo al patrimonio informativo dell’interessato.

Ne deriva che la “neutralità” del contenuto dei dati acquisiti senza il consenso della parte committente di una prestazione d’opera, dai quali non si desumano riferimenti alla vita privata o ai beni personali, ma solo alle caratteristiche estetiche e tecniche del manufatto eseguito dell’esecutore dell’opera, esclude che nella condotta assunta, in assenza di preventivo consenso dell’avente diritto, possa ravvedersi una violazione degli obblighi di salvaguardia degli interessi e diritti altrui. Nè tantomeno è ravvisabile una violazione del diritto alla privacy, all’immagine o della proprietà altrui nel comportamento di chi, nel proprio personale interesse, acquisisca dati contenenti immagini del proprio manufatto che, se anche riferite a parte del mobilio o degli ambienti in cui esso si inserisce, si dimostrino prive di contenuto personale riferito al committente dell’opera.

Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato (Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, n. 29206/19).

La redazione giuridica

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