Riprenderà il procedimento bis nei confronti dell’imprenditore Stephan Schmidheiny dopo l’interruzione dovuta ai dubbi relativi all’interpretazione dell’art. 649 c.p.p.

Andrà avanti il processo Eternit bis che vede sul banco degli imputati Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario per la morte da amianto di 258 persone decedute per mesotelioma, il cancro maligno provocato dall’esposizione all’amianto.

Il processo era infatti stato sospeso nel 2015 in attesa della decisione della Consulta sulla questione di costituzionalità sollevata dal gup  relativamente all’articolo 649 del codice di procedura penale che disciplina il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto,  dando applicazione al principio del ‘ne bis in idem’.

Il quesito posto alla Corte Costituzionale era il seguente: “Può Schmidheiny essere imputato in un processo Eternit bis, dopo essere già stato giudicato, con sentenza definitiva, nel precedente Eternit uno, in cui il reato contestato era sì diverso – disastro ambientale doloso – ma diverso l’ambito di condotta?”. L’imprenditore di origine svizzera era infatti stato già processato per la diffusione criminosa della fibra d’amianto nell’ambiente e condannato a 16 anni in primo grado e a 18 anni in appello, ma successivamente la Cassazione aveva decretato la prescrizione.

In seguito alla decisione della Suprema Corte, la procura aveva aperto un altro filone d’inchiesta con il capo d’imputazione di omicidio doloso, indicando 258 presunte vittime, con molti decessi verificatisi dopo il primo processo. Per i legali della difesa, la condotta di Schmidheiny oggetto del secondo procedimento sarebbe stata la stessa del precedente Eternit uno e pertanto non giudicabile.

Ma la Consulta si è espressa diversamente, stabilendo che se da una medesima condotta, già giudicata, scaturisce una nuova morte, questa è da considerarsi “un nuovo evento in senso storico”. Pertanto, Scmidheiny è sicuramente processabile per le morti avvenute dopo l’Eternit uno e probabilmente, secondo le interpretazioni della sentenza, anche per i decessi precedenti; la Corte Costituzionale ha infatti disposto che, ove il giudizio abbia riguardato anche quelle persone, “occorrerà accertare se la morte o la lesione siano già state specificamente considerate, unitamente al nesso di causalità con la condotta dell’imputato, cioè se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali realmente il medesimo, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze”.

Quanto al principio del “ne bis in idem” poi, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 649 “nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”. L’esistenza o meno di questo nesso formale, per i giudici, è “un fattore ininfluente” rispetto al “ne bis in idem”, principio che richiede una declinazione più articolata sulla base del dettato costituzionale e, su questo piano, chiama in causa lo stesso giudice il quale, “sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo” di quello precedente “solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica”.

 

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