Profilassi perioperatoria non adeguata (Tribunale Bergamo, sez. III, 01/03/2023, n.409).

Decesso del paziente per profilassi perioperatoria non adeguata.

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. i congiunti del paziente invocano la condanna del Sanitario e del Policlinico al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla errata prestazione sanitaria.

Dalla CTU medico-legale e infettivologica e dai relativi chiarimenti, si evince che: “Il quadro clinico al momento del primo ricovero presso il Policlinico (06.04.2008) era caratterizzato da varie patologie (gonalgia sinistra per grave gonartrosi, in paziente affetta da ipertensione arteriosa dislipidemia, obesità, diabete mellito II, IRC, cardiopatia ipertrofica,con lieve insufficienza valvolare e lieve ipertensione polmonare, artrosi polidistrettuale e insufficienza venosa)’. Sulla base di tale quadro clinico, l’indicazione all’intervento di artroprotesi di ginocchio risultava corretta. La profilassi antibiotica perioperatoria con ampicillina e gentamicina, invece, non risultava adeguata al caso di specie, ‘richiedente la somministrazione di cefalosporina di prima e seconda generazione in dose singola +/- vancomicina 1 g e.v.”.

Al momento del secondo ricovero presso il Policlinico (17.05.2008), la paziente, oltre alle patologie sopra riportate, presentava, “infezione periprotesica di ginocchio sinistro” e la risoluzione di tale quadro clinico, sempre secondo i CTU “in conformità con le linee guida e le raccomandazioni previste all’epoca dei fatti in oggetto, prevedeva una revisione protesica in due tempi o l’espianto della protesi seguito da artrodesi di ginocchio.”

La causa del decesso della paziente veniva identificata in “un’insufficienza multiorgano conseguente a shock settico, instauratosi nel contesto di un’infezione periprotesica causata da S.Aureus, contratta in occasione dell’intervento d’artroprotesi di ginocchio effettuato in data 07.04.2008 presso il Policlinico. Con l’espianto della protesi infetta non si sarebbe verificato, con elevata probabilità, l’exitus della donna……. Nella gestione clinica della paziente,  presso tutti nosocomi (Policlinico di Monza, Ospedale di Mariano Comense, Policlinico San Marco di Osio Sotto, Casa di Cura Habilita di Zingonia di Ciserano) in cui venne trattata nell’arco dell’intera vicenda clinica, si ravvisavano profili di colpa, inquadrabili in termini di negligenza, imprudenza e imperizia”.

Per tale ragione i CTU  ritenevano la ripartizione della responsabilità in relazione alla gravità delle rispettive colpe: “65% Policlinico di Monza, 15% Casa di Cura Habilita di Zingonia di Ciserano, 10% Ospedale di Mariano Comense, 5% Policlinico di San Marco di Osio Sotto.” In sede di chiarimenti veniva ripartita la quota di responsabilità (70%) nella misura del 50% al Medico del Policlinico e del 20% al Policlinico medesimo.

Il Tribunale evidenzia la necessità di “ricostruire tutti gli anelli della catena causale” per accertare la sussistenza del nesso eziologico tra il comportamento del sanitario e l’evento morte.

Ciò posto, il giudizio controfattuale deve essere effettuato valutando la specifica attività che era richiesta al medico in quel determinato caso, ad esempio, una diagnosi che non è stata fatta, o una terapia non somministrata, o un intervento non effettuato. “Sussiste il nesso eziologico tra l’omessa adozione, da parte del medico, delle misure necessarie a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, qualora si accerti, “secondo il principio di contro fattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa”. (Cass. Pen. 18573/2013).

Ebbene, il Tribunale riconosce i danni jure hereditatis, essendo prescritti quelli richiesti jure proprio dagli attori: per i primi, quindi, viene riconosciuto il danno biologico terminale, con esclusione di quello temporaneo e di quello da lesione dell’aspettativa della vita.

Il danno biologico terminale viene quantificato in euro 109.851,00, come previsto dalle Tabelle milanesi 2018 (per un danno che non può comunque superare i 100 giorni, compreso di personalizzazione massima al 50%). Non vi è dubbio che la paziente abbia subito uno sconvolgimento totale della propria vita, acuito non solo da una evidente presa di coscienza per la perdita della propria autonomia, derivante da un inaspettato e repentino peggioramento delle proprie condizioni di salute, ma anche dai ripetuti e non risolutivi ricoveri, nonché dalla sofferenza che ciò per ella comportava, sino alla consapevolezza dell’approssimarsi della propria morte, stante tali gravi ed irreversibili conseguenze.

Viene riconosciuto, inoltre, il risarcimento di tutte le spese effettuate dalla paziente, per la consulenza d’ufficio e di parte, per il procedimento ex art. 696-bis c.p.c. già concluso, per un importo complessivo di euro 19.630,00.

Il tutto secondo la gradazione delle responsabilità accertata dai CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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