Giusta la condanna per lesioni personali del calciatore che, in attesa che venisse battuto un calcio di punizione, aveva sferrato un pugno in volto a un avversario

Era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al reato di cui agli artt. 582, 583, comma 1, n. 2, del codice penale. Nello specifico, era finito a giudizio per aver cagionato lesioni personali a un altro uomo che, colpito da un pugno in volto nel corso di una incontro di calcio, aveva riportato un indebolimento permanente degli organi dentali.

Nel ricorrere per cassazione l’imputato deduceva il travisamento della prova, avendo i Giudici del merito riconosciuto, con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice, che la condotta fosse stata posta in essere nel corso del gioco, ma ha poi aveva ritenuto la stessa del tutto volontaria ed avulsa dalla dinamica della partita in corso; in particolare, il ricorrente sosteneva di aver posto in essere un’azione di smarcatura in occasione di un calcio di punizione, girandosi con le braccia aperte e, in questa rotazione, aveva colpito involontariamente in viso l’avversario. Si trattava, dunque, a suo avviso, di un’azione finalisticamente inserita nel contesto di un’attività sportiva e, come tale, “scriminata da consenso dell’avente diritto in relazione al rischio consentito nell’ambito dell’attività stessa”.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 14685/2020 ha però ritenuto infondato il ricorso, rigettandolo.

Gli Ermellini hanno ricordato come già il primo Giudice, riportando la dichiarazione della persona offesa – il quale aveva chiaramente indicato l’imputato come colui che gli aveva sferrato un pugno in volto seguito da un colpo del braccio mentre il gioco era fermo, in quanto le squadre erano in attesa di un calcio di punizione che avrebbe dovuto essere battuto – avesse chiarito che la sua versione era stata confermata da ben cinque testi. Tutti concordavano sul fatto che l’imputato si era improvvisamente girato, durante una marcatura, colpendolo con un pugno e con il gomito sinistro. Ne emergeva la piena volontarietà della condotta da parte dell’imputato, escludendo che la stessa fosse stata posta in essere durante lo svolgimento della partita, ossia dopo che l’arbitro aveva fischiato il calcio di punizione.

La Corte territoriale, poi, aveva ampiamente motivato sul rischio consentito del gioco, evidenziando come, in base alla giurisprudenza di legittimità, in tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 cod. pen.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell’ordinamento, in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell’ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l’avversario, come nel caso di specie verificatosi.

Mentre, infatti, la condotta lesiva va ritenuta esente da sanzione penale allorché sia finalisticamente inserita nel contesto dell’attività sportiva, ricorre, al contrario, l’ipotesi di lesioni volontarie qualora la gara sia soltanto l’occasione della condotta violenta mirata alla persona dell’antagonista.

Ancor più di recente è stato ribadito che, in caso di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva: a) quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso; c) quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all’azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell’attività.

Nel caso in esame la condotta risultava posta in essere allorquando il gioco era indiscutibilmente fermo, ed il pugno era risultato chiaramente diretto e volontario ed avulso da qualsiasi dinamica di gioco.

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