Il Tribunale del Riesame aveva disposto la misura ritenendo che il soggetto avesse esercitato il ruolo di prestanome nella gestione dell’impresa del padre indagato

Con sentenza n. 21634/2017 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal figlio di un soggetto indagato per criminalità organizzata, nei confronti del quale il Tribunale del riesame aveva disposto il sequestro preventivo di vari beni e, in particolare, di un conto corrente che si riteneva fosse alimentato dal canone di locazione di un immobile già sequestrato al padre e nella cui gestione il figlio avrebbe esercitato il ruolo di prestanome.
I Giudici Ermellini non hanno condiviso tale decisione chiarendo alcuni principi in base ai quali le decisione presa nel precedente grado di giudizio è stata ribaltata. La Cassazione precisa in primo luogo che “non essendosi in sede di misure di prevenzione, non opera alcuna presunzione di legge di fittizietà, pur se i rapporti personali, a fronte della non evidenza di disponibilità di reddito da parte del congiunto dell’indagato, possono certamente fungere da seri indizi dell’intestazione fittizia”.
Nel caso in esame, la motivazione adottata dal Tribunale del riesame è ritenuta meramente apparente: nonostante, infatti, si dia atto di una disponibilità di reddito lecito della madre del ricorrente, e, nonostante vi sia la prova diretta della provenienza di una cospicua parte del denaro sequestrato dalla vendita di un’autovettura del ricorrente e prima ancora della madre, si indicano genericamente la assenza di reddito diretto del ricorrente ed un suo presunto ruolo di prestanome nella impresa del padre per affermare che tutto il denaro posseduto fosse, in realtà, del padre.
Dal medesimo materiale probatorio, inoltre, si desume la concreta attività di conduzione dell’impresa da parte del figlio durante la detenzione del padre. Pertanto, non vi è ragione di ritenere che la situazione si discosti da quella della “impresa familiare”. Peraltro, sottolineano dal Palazzaccio, proprio lo svolgimento di attività effettiva in un’impresa che secondo il provvedimento impugnato svolge un commercio lecito, giustificherebbe una disponibilità di reddito in capo al ricorrente, frutto di una legittima partecipazione agli utili.
In conclusione, quindi, i Giudici del Palazzaccio hanno disposto l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata e la conseguente restituzione al ricorrente della somma sequestrata in conto corrente ritenendo che il reddito derivasse da un’attività lavorativa lecita.

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