Quale è il momento da cui iniziare a calcolare la prescrizione in caso di responsabilità aquiliana? Cosa succede se le lesioni si protraggono nel tempo?
Il caso trattato dalla sentenza n. 316/2020 della Corte d’Appello di Salerno riguarda il problema della prescrizione nei casi di risarcimento per responsabilità aquiliana. Il fatto riguarda la citazione in giudizio, da parte di un ginecologo, dei professionisti, consulenti nel procedimento penale per omicidio colposo pendente a suo carico.
La dinamica dei fatti, stante la ricostruzione che era stata proposta, era la seguente: una donna alla 32esima settimana di gravidanza veniva ricoverata d’urgenza in ospedale a causa dell’ipertensione arteriosa e della morte endouterina del feto. Il giorno successivo a quello del ricovero, veniva indotto il parto che tuttavia provocava nella paziente un sanguinamento enorme, tanto che i medici ritenevano di doverla trasferire in sala operatoria per porvi rimedio. Dopo essere stata in rianimazione la paziente subiva un intervento di isterectomia che si rivelava fatale per le sue condizioni di salute.
Successivamente all’esame autoptico “il collegio peritale depositava un primo elaborato in data 22.04.1996 evidenziando che gli specialisti ostetrici non si fossero avveduti della CID (coagulopatia intravasale disseminata) in atto, nonostante le risultanze di laboratorio delle h. 18,00 deponessero in tal senso con indicazione per l’asportazione chirurgica dell’utero ed eventuale allacciamento bilaterale delle arterie ipogastriche per controllare meglio le perdite ematiche. L’intervento chirurgico era stato realizzato tardivamente, la mattina successiva al manifestarsi dell’imponente emorragia, quando le condizioni della paziente apparivano già irrimediabilmente compromesse dallo stato ipossico indotto dalle perdite di sangue”.
Considerato il prestigio accademico dei periti e apparendo le tesi da loro proposta particolarmente convincente, il ricorrente sosteneva fossero stati determinanti nella richiesta di rinvio a giudizio che era stata emessa contro di lui.
La Corte d’appello, sulla scorta di quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione, chiariva che: “in materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, qualora si tratti di un illecito che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze decorre dal verificarsi delle medesime solo se queste ultime non costituiscono un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, bensì la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile. (Cfr. Cass. Civ. SS.UU. n. 580/2008 e, in senso conforme SS.UU. n.5023/2010)”.
Nel caso di specie, “non è revocabile in dubbio che gli ulteriori pregiudizi, rispetto al “peso” indotto dall’esercizio dell’azione penale e dal processo, direttamente o indirettamente ricondotti all’operato dei convenuti (danno all’immagine ed alla reputazione professionale causato dalla pubblicità diffusa data alla vicenda, perdita di clientela, ripercussioni sulla integrità psico-fisica) rappresentano un mero sviluppo o, se si preferisce, un aggravamento del lamentato danno iniziale. Si è, infatti, in presenza di un’ipotesi di illecito istantaneo con effetti permanenti, che si ravvisa laddove la condotta illecita si esaurisca in un fatto unico, o compiuto in un contesto temporale unico, ancorchè con effetti destinati successivamente a perdurare o ad ampliarsi autonomamente nel tempo, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a correre dal momento stesso del compimento della condotta illecita dell’agente, rectius della percepibilità di essa come agente dannoso da parte del danneggiato”.
Avv. Claudia Poscia
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