La discussione dell’emendamento al Decreto legge cura Italia sulla responsabilità dei datori di lavoro degli operatori sanitari era prevista per la prossima settimana in Senato

Ritirato l’emendamento al Decreto legge cura Italia sulla responsabilità dei datori di lavoro di operatori sanitari e socio sanitari che avrebbe dovuto essere discusso la prossima settimana in Senato.

Il testo, nello specifico, prevedeva al comma 1 che “le condotte dei datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari operanti nell’ambito o a causa dell’emergenza COVID-19, nonché le condotte dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio” non avrebbero determinato, in caso di danni agli stessi operatori o a terzi, “responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa, se giustificate dalla necessità di garantire, sia pure con mezzi e modalità non sempre conformi agli standard di sicurezza, la continuità dell’assistenza sanitaria indifferibile sia in regime ospedaliero che territoriale e domiciliare”.

Nel provvedimento, inoltre, si disponeva che “dei danni accertati in relazione alle condotte di cui al comma 1, compresi quelli derivanti dall’insufficienza o inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale”, avrebbe risposto civilmente il solo ente di appartenenza del soggetto operante “ferme restando, in caso di dolo, le responsabilità individuali”.

Soddisfatta l’AADI, Associazione Avvocatura degli Infermieri, tra le prime a chiedere la revoca dell’emendamento con una lettera inviata al presidente del Senato e al primo firmatario del provvedimento, il leader della lega Matteo Salvini.

L’Associazione, in particolare, sottolineava come non sia possibile che “i sanitari, soprattutto medici ed infermieri, dopo aver risposto prontamente al proprio dovere ed aver rischiato, in buona fede, la propria vita per assistere i malati, debbano essere beffati da un Governo che, invece, ha il dovere di proteggerli”.

Per l’AADI, infatti, l’emendamento avrebbe consentito ai direttori generali e alle case di cura, “di ignorare anche le più minime norme elementari di salvezza e garanzia della vita umana e della salute, quale diritto costituzionale irrinunciabile e non monetizzabile”. Tale licenza avrebbe giustificato “£mezzi di protezione ridicoli, come le mascherine costruite con la carta igienica, o, addirittura, l’assenza completa di qualsiasi mezzo, destinando, in molti casi, il lavoratore a morte certa”. Il tutto considerando che anche con gli attuali adeguati mezzi di protezione, si sono verificati, comunque, dei decessi tra sanitari.  

“In uno Stato di diritto – si legge nella lettera – è doveroso garantire la seppur minima tutela ai lavoratori, ma, con questo emendamento, non si riduce razionalmente un’ampia tutela, per adeguarla alla situazione in essere, no: si è deciso di cancellarla completamente, come avviene nelle dittature! Il codice penale, il codice civile, il codice amministrativo, per chi si è profuso in questi periodi per salvare vite umane, vengono eliminati senza indugio e le persone coinvolte vengono ridotte a semplici oggetti. E così, come negli Stati totalitari, il diritto vale solo per l’élite governativa, ma non vale per gli altri”.

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