Una recente sentenza della Cassazione nel trattare un caso di risarcimento danni per operazione sanitaria “mal riuscita”, affronta e chiarisce la questione del nesso causale tra omissione dell’obbligo informativo e conseguente danno

“Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute”.

È recente la sentenza della Cassazione (Cassazione civile, sez. III, 29/09/2015 – ud. 05/05/2015 – n. 19213) che nel trattare un caso di risarcimento danni per operazione sanitaria “mal riuscita”, affronta e chiarisce la questione del nesso causale tra omissione dell’obbligo informativo e conseguente danno.

A essere chiamata in causa un’intera Azienda ospedaliera. La domanda, quella di risarcimento danni cagionati a un paziente che, dopo essersi sottoposto a intervento microchirurgico di asportazione di ernia discale degenerata, (all’esito del quale si rendeva necessario altro intervento, eseguito sempre presso il medesimo Ospedale) riportava una lesione dell’integrità psico-fisica pari al 68%.

Il paziente, nella specie, lamentava che l’Azienda sanitaria avrebbe omesso di informarlo circa il tipo di operazione da effettuare e i suoi possibili esiti.

Il primo e il secondo grado di giudizio, tuttavia, si concludevano con esito negativo. I giudici, infatti, pur riconoscendo l’omissione informativa lamentata, e pur riconoscendo che il decadimento delle condizioni fisiche del paziente era da attribuirsi ai due interventi chirurgici eseguiti, sostenevano che l’attore non avrebbe provato, come da suo onere, la circostanza che, ove correttamente informato degli esiti peggiorativi degli interventi cui sarebbe stato sottoposto, avrebbe manifestato interesse negativo alla loro esecuzione. Il diritto al risarcimento sarebbe, dunque, stato negato sulla base della mancanza di nesso causale, in quanto il danno, secondo i giudicanti, si sarebbe verificato comunque, anche in caso di corretta e completa informazione.

Contro questa decisione, la vicenda giungeva dinanzi ai supremi Giudici della Cassazione. Ancora una volta, il ricorrente, lamentava il fatto che onere del chirurgo era quello di informarlo non solo della necessità dell’operazione, ma anche e soprattutto che la tecnica che in concreto sarebbe stata adottata, era la trans articolare, maggiormente rischiosa rispetto alla trans toracica.

A tal riguardo, aggiungeva: “se nel corso di un trattamento terapeutico o di un intervento, venga a palesarsi una situazione la cui evoluzione può comportare rischi per la salute del paziente, il medico che abbia a disposizione metodi idonei ad evitare che la situazione pericolosa si determini, non può non impiegarli, essendo suo dovere professionale, applicare metodi che salvaguardino la salute del paziente anzichè metodi che possano anche solo esporla a rischio”. Con la conseguenza che “ove egli opti per un trattamento terapeutico o per un metodo d’intervento rischioso e la situazione pericolosa si determina ed egli non riesce a superarla senza danno, la colpa si radica già nella scelta iniziale”.

Le corti di merito avrebbero tuttavia confuso l’inadempimento da omessa informazione con quello da “errore tecnico” nell’esecuzione della prestazione.

Sul punto, l’intervento della Cassazione.

«Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana). Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute».

«L’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario. Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi».

«A tale stregua, l’informazione deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso dei rischi di un esito negativo dell’intervento, aggravamento delle condizioni di salute del paziente, ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime (e cioè del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico- specialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale), e pertanto della relativa sostanziale inutilità, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc.) che ne derivano per il paziente».

«Il medico ha dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni verificabili».

Nulla di nuovo in verità!

Al riguardo, la Cassazione ha già, in passato, avuto modo di precisare che «il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni tale obbligo è a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso».

«(…)Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà dell’individuo e costituisce un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla salvo che ricorra uno stato di necessità, non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita».

È pertanto, «onere del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (va al riguardo ulteriormente posto in rilievo come il medico venga in effetti meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisisca con modalità improprie il consenso dal paziente)».

Queste le ragioni dell’accoglimento delle pretese risarcitorie. Una sentenza che ancora una volta, ribalta completamente il giudizio di merito, ma che torna a mettere in luce l’importanza degli obblighi informativi in capo ai sanitari.

Avv. Sabrina Caporale

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