Intervistato da «Responsabile Civile», il Presidente della Fondazione mette in guardia dalle contraddizioni che caratterizzano l’attuale formulazione dell’art. 5 del Ddl n.2224

Continuano questa settimana in Senato le audizioni sul Ddl Responsabilità professionale.

Sono diversi gli attori del mondo della Sanità che auspicano una modifica dell’attuale formulazione e tra questi c’è anche la Fondazione Gimbe, che si è soffermata sull’articolo 5 e sulla questione, centrale, delle linee guida in particolare in occasione della sua audizione alla 12esima Commissione Igiene e Sanità che a Palazzo Madama sta valutando il testo sulla Responsabilità medica.

Il Presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, intervistato da «Responsabile Civile», tra le altre problematiche sottolinea come «Consistenti evidenze scientifiche dimostrano che il processo di produzione delle linee guida è influenzato da varie tipologie di conflitti d’interesse».

Presidente, la Fondazione GIMBE è stata sentita nei giorni scorsi per un’audizione informale in Commissione Igiene e Sanità sul DdL sulla responsabilità professionale.
Abbiamo ritenuto doveroso esprimere tutte le nostre perplessità rispetto alle numerose contraddizioni che caratterizzano l’attuale formulazione dell’art. 5 del DdL n. 2224. Innanzitutto, lo stesso titolo ignora che raccomandazioni e buone pratiche, oltre che clinico-assistenziali, sono anche organizzative e la responsabilità professionale riguarda anche coloro che non svolgono attività clinico-assistenziale. In secondo luogo, l’attuale testo non fa alcun cenno alle prestazioni assistenziali, erogate da professionisti sanitari non medici. Infine, i soggetti che producono linee guida non possono identificarsi esclusivamente con le società scientifiche: l’attuale formulazione del testo esclude infatti tutte le istituzioni (Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Superiore di Sanità, Agenas, Regioni), gli enti di ricerca e altre organizzazioni scientifiche.

La discussione sulla responsabilità professionale ha aperto un fronte di preoccupazione sul rischio di riduzione dell’autonomia professionale. Come può il legislatore ovviare a questo problema?
Il pericolo è reale! Nell’art. 5 il termine “si attengono” – riferito alle linee guida – risulta eccessivamente vincolante e rischia di limitare l’autonomia decisionale dei professionisti sanitari. Considerato che le linee guida, di fatto, forniscono raccomandazioni cliniche e best practice per informare la pratica professionale, ma decisioni e azioni professionali devono sempre essere guidate dalle caratteristiche cliniche del paziente individuale, oltre che dalle sue preferenze e aspettative, sarebbe preferibile l’espressione “fanno riferimento”. Senza contare che decisioni e azioni professionali sono condizionate dagli eventuali ostacoli strutturali, tecnologici, organizzativi e professionali e di altra natura che caratterizzano i differenti contesti, rendendo sempre necessario un adattamento locale delle linee guida in percorsi assistenziali.

Per quel che riguarda le linee guida, quali sono i criteri che andrebbero rispettati, e quali gli aspetti che a vostro avviso l’articolo 5 trascura nella sua formulazione attuale?
Sulla questione dei produttori delle linee guida ribadiamo il nostro scetticismo: la responsabilità di produrre le linee guida non può essere limitata ex lege alle società scientifiche ma deve essere estesa a Istituzioni, enti di ricerca e altre organizzazioni scientifiche. Infatti, oltre 25 anni di ricerca sulle metodologie di produzione delle linee guida hanno dimostrato che la loro qualità e trasparenza non sono garantite dall’autorevolezza dei produttori, né tantomeno dalla loro legittimazione normativa, ma sono strettamente legate al rigore metodologico del processo di elaborazione e a un’adeguata governance dei conflitti di interesse, aspetti del tutto trascurati dal testo dell’art. 5.

Serve in ogni caso un garante istituzionale?
Assolutamente sì! L’attuale testo assegna all’Istituto superiore di sanità esclusivamente il ruolo di “custode” delle linee guida attraverso il proprio sito web, quando invece all’ISS dovrebbe spettare il ruolo di coordinamento/supervisione e soprattutto di validazione della qualità metodologica e trasparenza delle linee guida, facendo esplicito riferimento a metodi e strumenti standardizzati a livello internazionale.

Gli ultimi dati del rapporto Transparency Italia sulla corruzione in sanità riaccendono i riflettori sul problema dei conflitti d’interesse e sulla necessità di maggiore trasparenza. Quanto conta questo aspetto anche sul fronte della formulazione delle linee guida e cosa si può fare al riguardo?
Consistenti evidenze scientifiche dimostrano che il processo di produzione delle linee guida è influenzato da varie tipologie di conflitti d’interesse. Ecco perché, al fine di garantire la loro integrità e credibilità, la normativa deve prevedere un riferimento a standard internazionali. In particolare, chiedendo a tutti i produttori di linee guida, siano società scientifiche o agenzie governative, di utilizzare i principi del Guidelines International Network (G-I-N) – disponibili in italiano grazie alla Fondazione GIMBE – per la disclosure e la gestione dei conflitti di interesse economici diretti e indiretti di tutti i componenti del panel.

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