Revoca di prestazione assistenziale: la necessità di nuova domanda continua ad animare la giurisprudenza del Supremo Collegio.
Ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa.
Un principio confermato con recentissima ordinanza della Sezione Lavoro della Cassazione in commento (Cass. n. 3006/23) che – sia pure nella brevità propria di questo genere di ordinanze – riprende il principio di diritto esplicitamente enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza 9.5.2022 n. 14561 che ha rappresentato un integrale revirement rispetto ai precedenti della stessa corte di legittimità in materia, sollecitati da ordinanza interlocutoria della medesima Sezione Lavoro.
Con motivazione corposa, ed ancorata alla ricostruzione logico temporale del dato normativo, è stato ritenuto che la necessità di ripresentare una domanda amministrativa in caso di revoca di una prestazione assistenziale, pena l’improcedibilità del giudizio, rappresenti un vulnus per la parte privata, ma anche per l’ordinato e regolare svolgimento dell’azione amministrativa, rappresentando una duplicazione di una fase appena conclusa, attività non funzionale ad agevolare la risoluzione amministrativa della potenziale controversia agendo deflattivamente sul contenzioso giudiziario.
La SC in questa nuova pronuncia del 2023 pone nel nulla la costruzione logico-giuridica operata nelle fasi di merito, argomentando che la stessa costruzione fosse basata su precedenti datati e superati dall’arresto delle Sezioni Unite.
Ne consegue che chi subisce la revoca dell’indennità di accompagnamento (e degli altri benefici per invalidità civile) per intervenuto riscontro del venire meno dei requisiti sanitari richiesti, può agire in giudizio per opporsi alla decisione, non occorre che presenti una nuova domanda.
Imponendo all’invalido, che si sia visto revocare la prestazione in godimento, l’obbligo di presentare una nuova domanda amministrativa, si finisce per precludere, in contrasto con i principi dettati dagli artt. 24 e 113 Cost., la possibilità di ottenere una piena tutela giurisdizionale del diritto inciso dal provvedimento adottato dall’amministrazione (Cass. SU cit), profilo non irrilevante anche rispetto alla fruizione degli arretrati.
A tale soluzione non è di ostacolo l’eventualità che nel corso del giudizio si accerti che i requisiti per beneficiare della prestazione fossero effettivamente venuti meno al momento della revoca e che se ne fossero realizzate nuovamente le condizioni successivamente posto che a norma dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ. resta comunque nella facoltà del giudice di tener conto degli aggravamenti intervenuti nel corso del procedimento”.
In termini anche grafico grammaticali è necessario rilevare come continuare a sollevare siffatta eccezione non risponda al canone ultimo di interpretazione dei rapporti con rilevanza giuridica esterna.
Si evidenzia infatti come nelle note di accompagnamento inviate con i verbali, anche in ipotesi di revoca di prestazione assistenziale, è ben evidenziata la possibilità di impugnare ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c. e nel termine di sei mesi dalla ricezione della comunicazione.
Si spera che quest’ultima decisione ponga fine al tentativo, nemmeno troppo nascosto, di impedire l’accesso al proprio giudice naturale da parte di tante persone con disabilità, tentativo teso al progressivo svuotamento della funzione di sostegno delle categorie più fragili, affidata allo Stato e dunque anche alla magistratura.
Pur specificando che quello confermato di recente è principio che vale per tutti i benefici connessi alla invalidità civile, è possibile confermare attraverso il presente commento la circostanza per cui l’indennità di accompagnamento è – finora – l’unica misura specificamente concepita come sostegno alla non autosufficienza, attraverso la quale si è inteso fornire tutela alla condizione specifica dei soggetti non deambulanti o non in grado di provvedere a se stessi. Si tratta invero – in base all’esame dei lavori parlamentari relativi alla legge originaria e delle successive integrazioni – di una tutela ulteriore ed aggiuntiva rispetto allo stato di totale inabilità al lavoro.
Le stesse Sezioni Unite nella motivazione ripresa dall’ordinanza in commento hanno qualificato la questione sollevata come particolarmente delicata, in ragione della natura dei diritti che vengono in rilievo, anche sulla base di precedenti giurisprudenziale ad ogni livello.
Per quanto sin qui osservato è palese che la natura stessa della indennità di accompagnamento rappresenti il vettore più efficace per una riforma globale che investa tanto il concetto di non autosufficienza sia i tipi ed i livelli di servizi e prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale e senza necessità di rinnovare domande amministrative, se si considera che la definizione in senso negativo della disposta revoca, è essa stessa chiusura del procedimento amministrativo, la cui duplicazione sarebbe inutile oltre che pericolosa per il cittadino, pericolosità che si appalesa anche attraverso l’istituto dell’acquiescenza.
Come probabilmente notorio a chi legge la questione da ultimo risolta dall’ordinanza in commento non è nuova all’analisi della Suprema Corte e, su tali basi, un rapidissimo excursus dei precedenti prodotti anche in dottrina da INPS consente di ritenere intrinsecamente fallace l’argomento ipotizzato circa la diretta impugnabilità della sospensione della prestazione, pur prevista dalle norme.
Basti dire sul punto che – in accordo con le osservazioni della Procura Generale di Piazza Cavour, in un caso analogo a quello in commento, il provvedimento di revoca di prestazione assistenziale è certamente facoltativo, e spesso non viene adottato dall’istituto che paradossalmente si troverebbe a compromettere ulteriormente la posizione e la facoltà della parte privata di accedere tempestivamente alla giustizia ordinaria. Inoltre la rammentata impugnazione sembra non avere il carattere di rimedio, in quanto obbligherebbe comunque l’assistito alla successiva impugnazione anche del provvedimento di revoca.
Si tratterebbe dunque di un ulteriore aggravio a carico della parte privata con duplicazione dei giudizi pendenti a fronte della unicità della pretesa di conferma del suo diritto e della relativa continuità. Neppure può condividersi l’opinione espressa a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale precedente circa la possibilità per l’assistito di proporre domanda di verifica delle condizioni, prima della visita di revisione, opzione che, lungi dal bypassare il problema posto della lesione del diritto di difesa, onera ancora una volta solo e soltanto il fruitore della prestazione, con una iniziativa rispetto alla quale non si comprende quale sia l’interesse giustificativo, ma che in ultima analisi sbilancia ancor di più la prospettiva, che dovrebbe invece essere quella di un accesso libero ed uguale alla giustizia, per una tutela effettiva e sostanziale del diritto dell’invalido.
Avv. Silvia Assennato
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