I ricorrenti lamentavano di aver subito un danno di immagine in seguito alla cancellazione di alcuni appuntamenti lavorativi per via di un ritardo del volo aereo

Lamentavano un danno di immagine per essere stati costretti ad annullare degli appuntamenti lavoro a causa di un ritardo del volo. Inoltre, contestavano alla compagnia aerea di non aver garantito loro alcuna assistenza provocandogli una grava forma di disagio. Due avvocati si erano così rivolti alla giustizia per essere risarciti.

In sede di merito la pretesa era stata respinta. Il Tribunale aveva evidenziato come gli attori non avessero in alcun modo provato l’esistenza del danno lamentato. I legali, nello specifico, non avevano allegato alcun elemento concreto al fine della determinazione del danno. Anche gli impegni professionali cancellati erano stati indicati in modo molto generico, per cui la prova non poteva dirsi raggiunta. Infine, secondo il Giudice, anche ammettendo i danni lamentati, questi non potevano essere oggetto di risarcimento, poiché riferibili a diritti non costituzionalmente tutelati.

Gli avvocati avevano quindi presentato ricorso per cassazione, ma la Suprema Corte, con la sentenza n. 24547/2018 ha ritenuto di accogliere solo parzialmente le loro doglianze.

Gli Ermellini, nello specifico, hanno riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla compensazione pecuniaria e all’assistenza come stabilito dalla Convenzione di Montreal del 1999. In tali casi, peraltro, spetta al vettore aereo dimostrare che il ritardo sia dipeso da fatti indipendenti dalla sua volontà.

Quanto invece al danno da perdita di lavoro e al danno d’immagine le argomentazioni proposte dai ricorrenti sono da ritenersi infondate. Per la Cassazione, infatti, il Tribunale non aveva negato l’importanza e la centralità del diritto al lavoro. Né aveva escluso che un ritardo grave potesse determinare un danno da perdita di occasioni di lavoro o da lesione del diritto all’immagine. Il Giudice a quo aveva semplicemente osservato che di tale danno gli appellanti non avevano fornito alcuna prova specifica, limitandosi a generiche indicazioni.

Pertanto, la sentenza non poteva essere censurata sotto tale profilo. Ciò, pur essendo scorretta l’argomentazione del giudicante circa l’impossibilità di risarcire il danno perché non riferibile a diritti costituzionalmente tutelati. Del resto, chiariscono dal Palazzaccio, trattandosi di un danno conseguenza, è evidentemente il danneggiato che è chiamato a dimostrarne l’esistenza e a provare la concretezza del pregiudizio stabilito.

 

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