Ai fini fiscali, anche nei confronti dei professionisti opera la presunzione secondo cui nelle movimentazioni bancarie gli accrediti sospetti equivalgono a compensi percepiti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44562/2018, si è pronunciata in materia di movimentazioni bancarie sospette. La vicenda giudiziaria scaturisce dal decreto di sequestro preventivo di circa 1,8 milioni di euro nei confronti di un professionista. Un provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari di Locri in relazione a sei reati fiscali.

Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro solamente in relazione a uno degli illeciti contestati, rideterminando l’ammontare del sequestro in 30.650 euro. A fronte di tale revisione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri aveva quindi presentato ricorso per cassazione.

L’impugnante lamentava l’errata applicazione della normativa vigente in materia. In particolare, a suo avviso, il Giudice aveva ritenuto non operante la presunzione legale secondo cui devono essere considerati come compensi percepiti dal professionista, per i rispettivi anni di imposta, tutti gli accrediti rinvenuti attraverso indagini bancarie sui conti correnti personali e su quelli intestati allo studio professionale dei quali l’indagato non sia stato in grado di giustificare la provenienza.

Una ricostruzione interpretativa, questa, che secondo i Giudici del Palazzaccio è contrastante con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Gli Ermellini ricordano, infatti, come la Cassazione aveva già affermato in precedenti pronunce l’operatività della presunzione rispetto ai professionisti. Inoltre la Consulta, nel 2014, aveva dichiarato l’illegittimità delle normativa nella parte in cui estendeva ai lavoratori autonomi la citata presunzione, limitatamente ai soli prelevamenti. Restava quindi ferma l’equiparazione tra impresa e professionista con riguardo ai versamenti. Tale orientamento è stato poi recepito dal legislatore con il decreto fiscale n.193/2016.

Per la Suprema Corte, quindi, l’interpretazione del quadro normativo fornita dal Tribunale non era condivisibile. La normativa vigente, infatti, non opera alcuna distinzione tra le varie categorie di contribuenti. Con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente, quindi, anche il professionista è onerato di provare analiticamente l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili. Da qui l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio.

 

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