Tribunale e Corte di Appello di Roma confermano la legittimità del licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto e scarso rendimento. La Cassazione convalida le decisioni di primo e secondo grado (Cassazione Civile, sez. lav., 08/01/2024, n.614).
La vicenda
La Corte di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva a sua volta ritenuto legittimo il licenziamento intimato da ATAC al lavoratore per superamento del periodo di comporto e per scarso rendimento e inadempimento ai sensi dell’art. 27 all. A del R.D. n. 147 del 1931.
I Giudici di Appello hanno ritenuto incontestato che il lavoratore avesse contratto una malattia professionale (ernie discali lombari multiple) e tuttavia ha escluso, come il primo Giudice, che tale malattia fosse imputabile alla responsabilità della datrice di lavoro evidenziando che con il ricorso non era stata neppure allegata, e tantomeno provata poi in giudizio, la violazione di disposizioni generali di prevenzione e specifiche connesse all’attività svolta ed ha perciò escluso la responsabilità dell’ATAC nella causazione della patologia professionale.
Idoneità alla mansione e scarso rendimento
Ragionando in tal senso, ha ritenuto computabili nel comporto le assenze dell’autista connesse a tale patologia evidenziando che, a seguito delle visite annuali presso il Medico competente alle quali era stato sottoposto, il lavoratore era risultato idoneo alle mansioni. Inoltre, solo due anni dopo il lavoratore era stato dichiarato inidoneo alla guida per un anno ed era stato adibito a mansioni di guardiania.
In definitiva la Corte di Appello, accertato che di fatto le mansioni di guida erano state svolte per soli 11 giorni nel corso di tre anni, ha escluso che la condotta datoriale potesse aver contribuito alla persistenza o all’aggravamento della patologia già esistente. Inoltre ha ritenuto che la patologia non fosse grave così da poter estendere fino a 30 mesi la durata del comporto, a termini dell’art. 1 comma 4 dell’Accordo Nazionale del 2005 ASSTRA, comporto che, ordinariamente, è invece di 18 mesi ed a tal fine ha tenuto conto dell’incidenza accertata dall’INAIL nella misura del 18%.
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore impugna in Cassazione. Deduce che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che nel processo mancassero “elementi di allegazione e di prova sulla dedotta violazione da tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore”.
Rammenta che era stato allegato che nel periodo in contestazione era stata più volte denunciata l’esistenza di gravi problemi connessi allo svolgimento delle mansioni di guida anche a causa dello stato manutentivo dei mezzi utilizzati e sottolinea che il datore di lavoro aveva trascurato di denunciare la malattia professionale nonostante fosse in possesso di tutta la documentazione necessaria e che aveva impiegato sei mesi per comunicare al lavoratore il certificato del medico competente e non aveva offerto alcuna spiegazione del ritardo.
Secondo la sua tesi vi sarebbe responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. e che i comportamenti datoriali negligenti avrebbero contribuito ad aggravare la patologia con la conseguenza che le assenze ad essa connesse avrebbero dovuto essere detratte dal computo del comporto.
Il calcolo del periodo di comporto
Con separata censura ritiene che la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto corretto il calcolo del periodo di comporto effettuato da Tribunale e tale errore sarebbe risultato essenziale per la decisione.
Sostiene, in sintesi, che i giorni coperti da indennità per la malattia professionale avrebbero dovuto essere sottratti dal computo delle assenze rilevanti ai fini della maturazione del comporto ed invece la Corte avrebbe trascurato di considerare che il Tribunale nella sua sentenza aveva erroneamente inserito alcuni periodi sebbene, come era stato dedotto sin dal primo grado, tali giorni non dovessero essere computati trattandosi di assenze per un infortunio connesso alla malattia professionale.
Conseguentemente i giorni utili ai fini del calcolo della maturazione del periodo di comporto sarebbero stati 532 e non 541. Sottolinea poi che erroneamente l’azienda aveva inserito anche due anni nei quali il lavoratore era stato trasferito a funzioni di portineria proprio a cagione della sua malattia.
La Cassazione rigetta il ricorso e sottolinea che per superare la preclusione dettata dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. nell’ipotesi di “doppia conforme” è necessario che il ricorrente indichi le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
Il lavoratore non ha dato prova della diversità delle ragioni poste a base dei diversi provvedimenti conclusisi con il medesimo esito e, di conseguenza, le censure formulate in termini di vizio di motivazione vengono dichiarate inammissibili.
Avv. Emanuela Foligno