L’errore diagnostico, ovvero l’individuazione di un’inesistente carcinoma tubulare, ha costituito il fattore determinante della sequenza di eventi terapeutici inappropriati e demolitivi subiti dalla paziente in primis la mastectomia.
La vicenda
Dopo ATP, la paziente cita la USL n. 14 di Chioggia (poi Azienda ULSS n. 3 Serenissima) chiedendo il risarcimento del danno alla salute. La donna espone che a seguito dell’erronea diagnosi di carcinoma tubulare – in realtà inesistente – commessa dal Laboratorio P., i sanitari dell’ospedale di Chioggia avevano eseguito un intervento radicale di mastectomia, piuttosto che quello conservativo (quadrantectomia), programmato ed assentito, e che, a causa dell’inutile intervento demolitore, si era sottoposta alla ricostruzione mammaria e ai relativi interventi chirurgici.
L’Ospedale di Chioggia chiamava in causa il Laboratorio P., cui l’attrice poi estese la domanda, e la Casa di Cura Madonna della Salute. Il Tribunale di Venezia riteneva sussistente la concorrente responsabilità del Laboratorio P. e della Azienda Sanitaria nella misura rispettivamente del 20% e dell’80%, li condannava in solido al pagamento della somma di 57.188,95 euro per danno non patrimoniale, oltre interessi, e della somma di 19.400 euro per danno patrimoniale, oltre interessi.
Il ricorso in Appello
Con sentenza del 28/4/2020, la Corte d’Appello di Venezia rideterminava il risarcimento del danno non patrimoniale nella misura di 101.787 euro oltre interessi e condannava il Laboratorio P. e l’Azienda Sanitaria a tenersi reciprocamente indenni nella misura del 50% di quanto spettante alla paziente.
I Giudici di Appello davano atto, innanzitutto, che l’errore diagnostico era attribuibile in via esclusiva al Laboratorio P. e che il Tribunale aveva liquidato alla danneggiata solo la differenza, pari all’11%, fra la percentuale del danno complessivo accertato e quello considerato ineliminabile. Osservavano, poi, che l’errore diagnostico aveva costituito il fattore determinante della sequenza di eventi terapeutici inappropriati subiti dalla paziente, senza il quale ella non avrebbe accettato di sottoporsi ad alcun trattamento chirurgico, né poco invasivo, costituente quello più appropriato alla patologia in quel momento refertata, né tantomeno radicale, come quello poi concretamente praticatole senza il suo consenso, per cui non poteva parlarsi di una quota di conseguenze “ineliminabili” che sarebbe derivata dal più adeguato e meno invasivo intervento di quadrantectomia, non essendo la donna una paziente “già compromessa” e posto che, in presenza di una diagnosi corretta, anche l’intervento meno invasivo non sarebbe stato prospettabile in sede clinica.
In sintesi, il ragionamento dei Giudici di Appello si incentra unicamente sul nesso eziologico fra l’errato riscontro della patologia e l’intervento chirurgico ancor più inappropriato posto in essere, e considerano la prestazione sanitaria nel suo complesso, addivenendo alla responsabilità solidale di Azienda Sanitaria e Laboratorio P.
Sul calcolo del danno risarcibile, osservavano ancora i Giudici di Appello, l’errore valutativo aveva fatto sì che il danno non patrimoniale fosse stato liquidato (in difetto) sulla percentuale minima di 11 punti di invalidità permanente, risultante dalla differenza fra il danno complessivo di 24 punti e quello imputabile alle conseguenze “ineliminabili” che sarebbero comunque derivate dall’intervento di carattere conservativo, sicché il danno non patrimoniale doveva essere rideterminato per l’intero, e non in modo differenziale, sulla base dei 24 punti di invalidità permanente, applicando la Tabella del Tribunale di Venezia del 2016 (sulla cui adozione non vi era contestazione fra le parti).
L’applicazione delle tabelle veneziane
La Corte di Cassazione, adita dalla paziente in via principale, conferma la correttezza della decisione di Appello sia riguardo all’applicazione delle tabelle veneziane, sia riguardo la esclusione del danno morale in quanto ricompreso nella riconosciuta personalizzazione del 30%. Inoltre, il Tribunale aveva fatto applicazione della tabella elaborata dal Tribunale di Venezia e rispetto a tale applicazione la paziente non ha proposto appello. Costituisce dunque giudicato interno la circostanza che il danno debba essere liquidato, nel presente giudizio, sulla base delle tabelle veneziane.
Passando al ricorso incidentale dell’Ospedale di Chioggia, il fatto dannoso, che il Giudice del merito ha identificato, è l’intervento di mastectomia, privo di giustificazione in carenza della patologia corrispondente al suo presupposto. L’Ospedale poteva (e doveva optare) in luogo dell’intervento demolitivo, in quello conservativo che la diagnosi errata giustificava. In altri termini, l’errore diagnostico costituisce un mero inadempimento all’obbligazione di diligenza professionale, ma la sua rilevanza pregiudizievole si è materializzata solo con l’intervento chirurgico.
È corretto il ragionamento del Giudice di merito che ha considerato un unico danno evento, e non una duplicità di eventi di danno (errore diagnostico e intervento di mastectomia), ma appunto un unico danno evento, corrispondente a all’intervento di mastectomia. A questo “unico danno evento” hanno eziologicamente contribuito con la loro condotta inadempiente alle regole della diligenza professionale, sia l’Ospedale che il Laboratorio P.
Avv. Emanuela Foligno