Lavoratore disabile illegittimamente dichiarato inidoneo

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I Giudici negano il diritto all’assunzione e all’immissione in ruolo del lavoratore disabile dichiarato inidoneo e risarciscono solo il danno. La Cassazione ribalta la decisione di Appello (Cassazione Civile, sez. lav., 26 febbraio 2024, n. 5048).

La vicenda

Il lavoratore, invalido civile iscritto nelle liste di collocamento obbligatorio ex lege n. 68/1999, si rivolgeva al Giudice del Lavoro dolendosi che con provvedimento dell’8/9/2011 dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) fosse stata dichiarata la sua inidoneità alle mansioni di Operatore Socio-Sanitario Bs. In precedenza la ASP aveva riconosciuto la sua idoneità al lavoro; conseguentemente, chiedeva dichiararsi illegittima la sua esclusione dall’avviamento al lavoro ai sensi della legge n. 68/99 e affermarsi la sua idoneità alle mansioni indicate, con conseguente diritto all’assunzione e all’immissione in ruolo con contratto a tempo indeterminato in conformità al profilo professionale e alla declaratoria contrattuale del C.C.N.L. del Comparto Sanità.

Il Tribunale, previo espletamento di C.T.U. medico-legale, accoglieva parzialmente il ricorso e dichiarava illegittimo il rifiuto dell’ASP di stipulare il contratto di lavoro a conclusione dell’iter di avviamento obbligatorio, condannando l’Azienda al risarcimento del danno, liquidato in complessivi €44.834,99.

La Corte d’Appello di Caltanissetta, adita dallo stesso lavoratore disabile che lamentava la mancata adozione del dictum costitutivo del rapporto di pubblico impiego ex art. 2932 cod. civ., rigettava il gravame confermano la statuizione di primo grado. I giudici di secondo grado evidenziavano che la costituzione del rapporto di lavoro, pur obbligatoria, non era automatica, richiedendo l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del contenuto del contratto in ordine a mansioni, retribuzione, qualifica, e ciò tanto più nella specie, atteso che emergeva dalle risultanze della C.T.U. medica che le «mansioni a diretto contatto con gli ammalati, a maggior ragione se non autosufficienti, e l’uso di strumentazione» erano necessariamente inibite al ricorrente.

La Cassazione non ritiene corretta la decisione di Appello

Il diniego dell’ASP di costituire il rapporto di lavoro, benché fossero già definiti tutti gli elementi essenziali del rapporto (mansioni, retribuzione e qualifica), integra una violazione del principio di parità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap di cui all’art. 5 della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000 ‒ che fa obbligo a tutti i datori di lavoro di adottare “accomodamenti ragionevoli per garantire ai disabili la piena uguaglianza con gli altri lavoratori” ‒  e all’art. 3 d.lgs. n. 216/2003.

Errata, inoltre, anche l’affermazione dei Giudici di Appello secondo cui comporterebbe al datore di lavoro ogni valutazione sull’utilità economica di avvalersi di un operatore sociosanitario che non può usare strumentazione e avere contatti con gli ammalati.

La decisione d’Appello si basa sulla considerazione che l’avviamento del ricorrente non poteva che essere sottoposto, per come precisato dalla C.T.U. medico-legale, a specifiche prescrizioni, di qui l’esigenza di specifica determinazione aziendale delle concrete mansioni affidate nonché l’ulteriore necessità di una “preventiva concertazione tra le parti, non sostituibile da quella imposta dal giudice”, donde anche l’impossibilità di “far luogo all’attivazione del rimedio ex art. 2932 cod. civ.”.

In effetti, sottolinea la Cassazione, la giurisprudenza che ha richiamato la Corte di Appello ha escluso la possibilità di una pronuncia costituiva del rapporto di lavoro, essenzialmente sul rilievo che il sistema delle assunzioni obbligatorie è strutturato in modo tale da dar luogo all’obbligo del datore di lavoro di stipulare il contratto con i soggetti avviati dall’UPLMO, ma non alla costituzione automatica e autoritativa del rapporto, la cui nascita richiede necessariamente l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del suo contenuto in ordine ad elementi essenziali quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica.

La Corte d’Appello, nel negare la possibilità di costituire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’ASP, sottovaluta la specificità del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, nel cui ambito è espressamente previsto (v. art. 63 comma 2 d.lgs. n. 165/2001, nel testo ratione temporis vigente, che si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2932 c.c.) che “il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati» e che «le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro”.

Aggiungasi, che lo specifico profilo professionale di OSS Bs trova, nell’ambito dell’impiego pubblico e in particolare delle unità sanitarie locali, compiuta definizione nella contrattazione collettiva (CCNL Comparto Sanità stipulato del 20/9/2001, allegato 1), dalla quale il datore di lavoro pubblico non può discostarsi, sicché quelle esigenze di predeterminazione puntuale delle mansioni (erroneamente ritenute ostative alla pronuncia costitutiva dalla Corte territoriale) sono, nel caso in esame, già adeguatamente assicurate dalle regole che necessariamente governano l’instaurazione e la gestione del rapporto.

Pertanto, il ragionamento dei Giudici di merito non è condivisibile in quanto le ragioni impeditive alla costituzione del rapporto di lavoro non possono ravvisarsi negli esiti della CTU medico-legale, che nel confermare l’idoneità al lavoro del soggetto lavoratore disabile, si era solo premurata di raccomandare alcune prescrizioni “a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza, in guisa da suggerire, onde evitare situazioni di potenziale pericolo, di escludere attività a diretto contatto con gli ammalati, a maggior ragione se non autosufficienti, e l’uso di strumentazione”.

Le “prescrizioni” suggerite dal Consulente non costituiscono un ostacolo per l’instaurazione del rapporto di lavoro in quanto rientrano “in quei ragionevoli adattamenti organizzativi cui la parte datoriale pubblica è tenuta per consentire ai disabili di accedere al lavoro, beninteso entro i limiti della ragionevolezza”.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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