Il Medico viene condannato, in solido con la Struttura, a risarcire alla paziente oltre duecentomila euro per i danni conseguenti all’intervento chirurgico di cistopessi per cistocele.

Il Chirurgo è stato imperito e negligente perché ha inciso l’uretere nell’ambito di una tecnica chirurgica che non prevedeva manovre dirette su tale organo (Cassazione Civile, sez. III, 16/02/2024, dep. 16/02/2024, n.4277).

La vicenda

La paziente nel 2006, presso l’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma, veniva sottoposta all’intervento chirurgico di cistopessi per cistocele, che le provocava una lesione iatrogena dell’uretere.
A seguito di queste conseguenze, la donna ha dovuto affrontare successivi interventi non risolutivi e da cui erano derivati postumi di condizione renale ipofunzionale, disturbi dell’alvo con stipsi e stato ansioso-depressivo, con conseguenze dannose.

Il Tribunale di Roma aveva condannato il chirurgo, in solido con la “Provincia Italiana della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione” (ente gestore dell’ospedale), a risarcire i danni (complessivamente liquidati in 198.935 euro).

La Corte di Appello di Roma rigetta il gravame proposto dal chirurgo che infine si era rivolto alla Cassazione.

Il ricorso in Cassazione

Il Chirurgo ricorre in Cassazione e lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto dei rilievi operati dai CTU circa la sussistenza, nella fattispecie, di fattori di incremento della difficoltà tecnica dell’intervento chirurgico, i quali sarebbero stati “ben presenti” e sarebbero stati rappresentati: dall’alto grado del cistorettocele di cui la paziente era portatrice, nonché dal suo sovrappeso; dalla circostanza che essa aveva subito tre tagli cesarei; e dalla isterectomia riferita in anamnesi.
Deduce anche che non sarebbero state considerate “significative incongruenze e contraddizioni risultanti dalla CTU” quali, in particolare, quella relativa alla natura della lesione che non sarebbe stata una lesione dell’uretere ma solo un ematoma che, “organizzandosi”, avrebbe prodotto una “compressione ab extrinseco” dell’uretere; soggiunge che la diagnosi di “fistola urogenitale”, formulata all’esito del ricovero presso l’Ospedale CTO, non era suffragata da alcun dato strumentale; osserva che, in ogni caso, la sua colpa non sussisteva, in ragione dell’osservanza delle linee guida, né poteva escludersi una “originaria presenza della lesione”.

La Suprema Corte disattende le censure e conferma le decisioni di merito

La Corte d’Appello ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità le risultanze della CTU medico-legale, alla stregua delle quali era stato accertato che “durante l’operazione per cistocele, era stata cagionata alla paziente una lesione iatrogena dell’uretere di tipo indiretto, poiché la tecnica chirurgica non prevedeva manovre dirette su questo organo; che, sebbene al riscontro di tale lesione fosse seguito l’immediato trasferimento in ambito urologico specializzato, i trattamenti chirurgici successivi, anche presso il CTO, non solo non erano stati risolutivi ma erano stati forieri di ulteriori complicanze; che dalla lesione erano residuati postumi (ipofunzionalità renale, problemi dell’alvo con stipsi e sindrome ansioso-depressiva) che non si sarebbero dovuti verificare qualora il trattamento chirurgico fosse stato correttamente eseguito”.

I giudici di merito hanno operato correttamente

Gli apprezzamenti dei Giudici di merito sono motivati in maniera logica e corretta e derivano dai rilievi tecnici ritualmente assunti mediante CTU e non inficiato da incongruenze e contraddizioni, le quali non sono riscontrabili né in ordine alla natura della lesione (individuata come lesione dell’uretere di tipo indiretto esitata in fistola urogenitale), né in ordine alle sue conseguenze.

Conseguentemente il chirurgo mira a suscitare un apprezzamento di merito alternativo da parte della Cassazione, omettendo di considerare che l’attività di ricostruzione dei fatti e di valutazione delle prove è riservata al Giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove, come nel caso in esame, sia stata debitamente motivata.

Ad ogni modo la S.C. evidenzia che la sentenza impugnata, in base alle risultanze peritali, ha espresso sulla condotta sanitaria un giudizio insindacabile di merito non solo di imperizia ma anche di negligenza, stante la rilevata indebita incisione sull’uretere nell’ambito di una tecnica chirurgica che non prevedeva manovre dirette su tale organo; e che, sempre alla luce dei rilievi peritali (di cui il giudice d’appello ha debitamente e motivatamente tenuto conto), lo stesso chirurgo non aveva descritto “sopraggiunte difficoltà tecniche” mentre le condizioni personali della paziente (con particolare riguardo ai plurimi parti cesarei avuti, alla subìta isterectomia e alla situazione di sovrappeso) erano “ben presenti” già prima dell’esecuzione dell’operazione.

La Corte d’Appello ha inoltre correttamente ritenuto che, proprio “a causa della non corretta esecuzione” dell’intervento di cistopessi per cistocele, la donna si era dovuta sottoporre ai successivi interventi, i quali, dunque, lungi dall’integrare cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento dannoso, costituivano, a loro volta, eventi pregiudizievoli da esso innescato e, pur avendo determinato ulteriori complicanze, non avevano reciso il legame causale del primo intervento con i postumi finali e le connesse conseguenze risarcibili.

Avv. Emanuela Foligno

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