Accertata la negligenza del professionista per omessa anamnesi della paziente e non corretta progettazione ed esecuzione degli interventi odontoiatrici (Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sentenza n. 2365 del 24 settembre 2020)

Il dentista propone appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano che lo condannava al pagamento in favore della paziente dell’importo di euro 25.665,00 a titolo di risarcimento del danno e alla restituzione dell’importo di euro 22.000,00, oltre spese di lite e di CTU. per la non corretta esecuzione di alcuni interventi odontoiatrici.

Nello specifico, la paziente si recava dall’odontoiatra che le preventivava una spesa di euro 25.000,00 per una soluzione protesica fissa sostenuta da impianti nelle zone posteriori della bocca e tra settembre del 2007 e ottobre del 2008 procedeva all’estrazione di numerosi elementi dentali nonché all’inserzione di 16 impianti a vite.

Successivamente sorgevano problematiche di natura infiammatoria a partire dal giugno 2012 che costringevano la paziente a numerose visite di controllo, esami diagnostici, accessi al pronto soccorso e a due interventi chirurgici realizzati l’uno al fine di emendare la complicanza flogistica conseguente allo scorretto posizionamento dell’impianto in posizione 26 e l’altro per la risoluzione di una sinusite frontale di cui la paziente soffriva .

La CTU svolta nel giudizio di primo grado concludeva per profili di negligenza dell’Odontoiatra che ometteva di eseguire una completa ed accurata anamnesi della paziente e successiva progettazione degli impianti da realizzare, provvedendo ad una conseguente non corretta esecuzione degli stessi ed ometteva di eseguire controlli post posizionamento degli impianti neppure pianificati e in occasione del controllo del giugno 2012 a fronte della situazione in cui versava la paziente, che presentava una dislocazione dell’impianto in posizione 26 penetrante nel seno mascellare, si limitava a prescriverle una cura antibiotica senza disporre gli esami necessari per approfondire il quadro patologico in atto.

L’Odontoiatra in sede di appello censura l’errata valutazione dei fatti di causa, l’errata attribuzione di responsabilità professionale e la contraddittorietà della CTU.

Nello specifico, il Medico ritiene che il lasso temporale di cinque anni intercorso tra gli interventi odontoiatrici eseguiti e il primo problema infiammatorio lamentato dalla paziente dimostrerebbe che le prestazioni di implantologia hanno avuto i risultati prospettati e sperati al momento dell’intervento.

La Corte d’Appello ritiene l’impugnativa infondata.

La CTU ha chiarito che dal punto di vista clinico la scelta del trattamento implantologico è da ritenersi adeguata così come la tecnica, tuttavia emergono profili di imperizia relativamente alla metodologia usata per l’esecuzione degli interventi odontoiatrici individuati.

Non risulta che l’Odontoiatra abbia svolto un’accurata raccolta anamnestica volta a individuare le condizioni della paziente e “a inquadrare eventuali patologie, farmaci e/o abitudini di vita che possano interferire con la scelta clinica ipotizzata e indirizzare verso soluzioni terapeutiche differenti “…….”tutti accertamenti strumentali che secondo le linee guida indicate dal Ministero della Salute risultano essere imprescindibili per una corretta pianificazione terapeutica e per la buona riuscita di una cura odontoiatrica “.

Inoltre i CTU hanno evidenziato “a causa dell’assenza di dati clinici non trascritti e non forniti è impossibile comprendere se siano state poste in essere tutte le cautele necessarie, nonché segnatamente l’impossibilità di verificare la programmazione pre-chirurgica, pratica propedeutica imprescindibile per una corretta esecuzione della manovra chirurgica in quanto “deve prevedere un corretto inserimento degli impianti nella posizione ideale seguendo il concetto di “implantologia protesicamente guidata” vale a dire un corretto approccio iniziale che considera un inserimento di un impianto in una zona in cui verrà posizionato il dente programmato inizialmente “.

Ed ancora: “l’omessa corretta valutazione e salvaguardia del seno mascellare della paziente, emergono alla luce del dato strumentale degli esami radiografici post inserimento implantare che evidenziano impianti aggettanti nei seni oltre a quello francamente migrato (n.26) e che dunque danno prova dell’erroneo inserimento degli impianti “.

Inoltre, l’Odontoiatra si è dimostrato imperito anche in occasione della visita cui sottoponeva la paziente nel 2012 quando, sebbene dalla eseguita OPT emergeva uno scorretto posizionamento dell’impianto in posizione 26 penetrante con tutta evidenza nel seno mascellare, lo stesso prescriveva unicamente una generica terapia antibiotica con Augmentin e sciacqui del cavo orale.

I CTU hanno evidenziato che i profili di censura sono sfociati in complicanze che poi negli anni hanno portato al quadro clinico presentato e lamentato dalla paziente che è compatibile e riconducibile, almeno in parte, alle cure poste in essere dall’Odontoiatra.

Più precisamente, i Consulenti accertano “che il processo infiammatorio con colonizzazione infettiva, origine delle vicende cliniche note sviluppatesi a partire dal giugno 2012 nonché dei danni in questa sede lamentati dalla paziente, alla luce delle indagini strumentali (OPT e TAC) svolte a fine agosto -inizio settembre 2012 presso le strutture nosocomiali di Varese e in seguito Niguarda (Milano) nonché delle risultanze dell’intervento cui la paziente si sottopose nel settembre 2012, trovi piena ragione nell’impianto in posizione 26 non correttamente posizionato e quindi non integrato che aveva un innegabile ruolo favorente nel perno nella produzione della flogosi de quo , complicanza nota, prevedibile e frequente qualora non si seguano le indicazioni e le buone pratiche del settore così come avvenuto nel caso di specie”.

“L’ errato posizionamento dell’impianto in posizione 26, che nella OPT del giugno 2012 appariva dislocato e penetrante con tutta evidenza nel seno mascellare, è infatti dipeso dall’attività dell’Odontoiatra e dai profili di censura appena richiamati in quanto un corretto inquadramento strumentale (mediante T C) avrebbe consentito di comprendere la struttura e lo spessore osseo inadeguato nelle sedi di posizionamento di impianto così da evitare quanto verificatosi (risulta infatti programmato un intervento di rialzo del seno mascellare che, da quanto possibile comprendere dalle sole indagini radiologiche, non fu eseguito), in ultimo una scorretta valutazione dell’ampiezza del seno mascellare e del residuo osseo idoneo all’inserimento di impianti causa di perdita degli impianti mascellari così come avvenuto nel caso in valutazione ed ancora, un controllo post chirurgico, avrebbe permesso di comprendere gli errori di posizionamento dell’impianto e di emendare all’errore commesso, cosa che di fatto non avvenne”.

La Corte ritiene la CTU ben motivata e priva di contraddizioni e priva, inoltre, del carattere esplorativo lamentato dall’appellante.

Infine, la contestazione dell’odontoiatra inerente il lasso di tempo intercorso tra le prestazioni mediche e l’inizio della flogosi, viene considerata del tutto generica.

Difatti il Medico si è limitato a discorrere di ipotetici scenari alternativi non precisati e senza fornire alcun elemento specifico e concreto a sostegno della verosimiglianza degli stessi.

Riguardo alle contestazioni mosse alla CTU, la Corte rammenta che “il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è, quindi, necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive , che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c..”

Inoltre non coglie nel segno neppure la censura inerente la lamentata omessa indicazione da parte del CTU delle linee guida violate con riguardo alle manovre di implantologia eseguite, in quanto è evidente che l’errata esecuzione dell’implantologia emerga manifestamente dal dato strumentale che, come evidenziano i CTU , “dimostra inequivocabilmente che gli impianti non furono correttamente inseriti ” dal momento che “si notano [nell’esame radiografico] impianti aggettanti nei seni oltre a quello francamente migrato”.

Venendo poi alle due cause alternative che secondo l’appellante avrebbero generato lo stato di flogosi della paziente, e segnatamente il riassorbimento osseo per una predisposizione non prevedibile o per un’errata igiene dentale e la predisposizione allo stato di sinusite di cui soffriva, la Corte ne osserva la genericità e la mancata indicazione di elementi concreti a sostegno delle ipotesi formulate.

In conclusione la Corte d’Appello di Milano respinge il gravame e conferma integralmente la sentenza del Tribunale di Milano, con condanna alle spese di lite dell’appellante.

Avv. Emanuela Foligno

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