Perdita di chance, danno estetico e morale post mastectomia (Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2023, n. 25910).

Perdita di chance e pregiudizio estetico per la modella per l’incidenza sui rapporti sociali e lavorativi.

La vicenda trae origine da un intervento di mastectomia sottocutanea bilaterale con contestuale ricostruzione finalizzata alla espansione mammaria.

Dopo l’intervento, i controlli post operatori evidenziavano una posizione anomala degli espansori cui si associava lo stato febbrile della paziente, quindi una forte infiammazione locale e, nell’arco di qualche giorno, si accertava una flogosi da stafilococco aureo, cui faceva seguito una infezione diffusa con fuoriuscita di materiale purulento.

Successivamente, a breve distanza, le protesi mammarie installate venivano entrambe asportate chirurgicamente, in presenza di necrosi cutanea nella regione mammaria sinistra.

La donna, dissuasa dal sottoporsi ad intervento riparativo, lamentava di aver riportato una situazione irreversibile di devastazione mammaria toracica, aggravata da una importante sintomatologia dolorosa con limitazione anche nei movimenti, della quale ascriveva la responsabilità agli inadeguati controlli post-operatori eseguiti in ospedale, per non aver affrontato con la tempestività necessaria la complicazione flogistica associata al rigetto delle protesi.

Il Tribunale di Modena accoglieva la domanda di risarcimento condannando la ASP al pagamento della somma complessiva di Euro 96.225,80.

La danneggiata proponeva appello dinanzi la Corte di Bologna ritenendo che la quantificazione dei danni fosse inidonea a coprire l’intero danno patito: Sosteneva di aver riportato un danno biologico non inferiore al 30- 32%, e di avere diritto al risarcimento del danno morale ed esistenziale, unitamente alla perdita di chance, in considerazione della incidenza dei postumi dell’intervento non solo sulle sue condizioni fisiche e psicologiche, ma sui suoi rapporti sociali e lavorativi, tenuto conto della giovane età all’epoca dell’intervento e dell’attività di modella svolta all’epoca.

L’impugnazione veniva rigettata.

I Giudici di appello, nello specifico, evidenziavano la correttezza della quantificazione degli esiti permanenti nel 22-23 % sulla base dei motivati esiti della C.T.U.; confermava quindi la quantificazione del danno biologico, effettuata tenendo conto di quella percentuale di invalidità e facendo applicazione delle tabelle milanesi; riteneva non provate circostanze idonee per l’aumento in via di personalizzazione; rigettava la domanda volta al risarcimento del danno esistenziale in quanto duplicatoria ed anche la domanda volta al risarcimento del danno morale in quanto, sebbene autonomamente risarcibile, non provato. Infine, rigettava la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances ritenendo non provato l’avvio alla carriera di modella.

La decisione viene impugnata in Cassazione dove si censura, in sintesi, il rigetto del danno esistenziale, da perdita di chances e morale.

Per quanto qui di interesse, solo la parte delle censure della donna, quelle inerenti il danno morale, sono fondate.

La Corte d’appello, dopo avere confermato l’accertamento dell’ invalidità permanente , comprensiva di un importante danno estetico e limitazioni funzionali subiti, si è solo apparentemente conformata all’orientamento secondo cui “ in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che rileva autonomamente, a prescindere dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato.”

I Giudici di appello, nel rigettare il danno morale hanno sostenuto che il relativo pregiudizio fosse stato allegato dalla donna, ma non provato, dovendosi intendere quanto liquidato a titolo di danno biologico comprensivo delle sofferenze patite per l’isolamento sociale e l’abbandono dell’attività lavorativa.

Questa affermazione si pone in contrasto con il principio della integrale valutazione del pregiudizio non patrimoniale complessivamente subito, ed in particolare con quello secondo il quale, ai fini dell’accertamento della sussistenza di un danno morale, in tema di danno non patrimoniale discendente da lesione della salute, se è vero che all’accertamento di un danno biologico non può conseguire in via automatica il riconoscimento del danno morale, la lesione dell’integrità psico-fisica può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della dimostrazione di un coesistente danno morale, alla stregua di un ragionamento cui deve riconoscersi efficacia tanto più limitata, quanto più basso sia il grado percentuale di invalidità permanente, dovendo ritenersi normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sotto il profilo del danno morale (Cass. n. 6444 del 2023).

La Corte d’appello, errando, non ha valutato affatto se al danno fisico potessero associarsi conseguenze in termini di sofferenza interiore, omettendo di indagare il presumibile stato d’animo conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.

OSSERVAZIONI

La decisione in esame tratta, ancora una volta, della delicata questione della autonoma liquidazione del danno morale e del danno da perdita di chance.

La perdita di chances è stata, giustamente, respinta poiché necessita della prova, anche presuntiva, ma fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere con elevata probabilità la sua esistenza».

La chances, giova ribadirlo, è la concreta ed effettiva possibilità di conseguire un determinato risultato (nella specie, la possibilità di carriera come modella), e che la sua perdita configura un danno concreto ed attuale commisurato alla possibilità perduta del risultato sperato. Tale aspetto è il primo da fornire ai fini della relativa prova; il secondo aspetto riguarda l’accertamento del nesso causale, ovverosia le possibilità lavorative di modella perdute a causa delle condizioni fisiche ed estetiche.

Altro aspetto interessante della decisione a commento riguarda il danno morale.

Tale posta risarcitoria è “sorta dalle ceneri” come l’araba fenice diverse volte negli ultimi ventennali approdi giurisprudenziali.

L’orientamento, ormai consolidatosi negli ultimi cinque anni, da tenere presente recita che  in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che rileva autonomamente, a prescindere dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (Cass. nn. 901 e 7513/2018; Cass. n. 9006 del 2022). Lo stesso deve ritenersi normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità (salvo puntuale prova contraria) con tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sotto il profilo del danno morale (Cass. n. 6444 del 2023).

Ergo, in presenza di un importante danno biologico permanente è sufficiente allegare i pregiudizi patiti, non essendo necessaria una rigorosa prova.

Avv. Emanuela Foligno

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