Respinto il ricorso del presidente di una Srl che invocava il comportamento abnorme del lavoratore, morto schiacciato tra la motrice e il semirimorchio di un autoarticolato

Il datore di lavoro può invocare l’imprevedibilità o abnormità del comportamento del lavoratore e, quindi, indicare questo comportamento come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento soltanto qualora sia in grado di provare in modo certo e irrefutabile di avere fatto tutto ciò che la legge gli impone in materia antinfortunistica perché l’incolumità del lavoratore venga assicurata. Al contrario, non potrà mai eccepire che l’infortunio si è verificato per un comportamento imprevedibile del lavoratore allorché, come nel caso in disamina, gli si possa fondatamente rimproverare di non aver adempiuto a quei doveri impostigli dalla legge che mirano appunto a scongiurare la verificazione di eventi lesivi quand’anche dovuti a comportamenti imprudenti o avventati dell’infortunato. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 37699/2021 pronunciandosi sul ricorso del presidente del consiglio di amministrazione di una srl ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo ai danni di un dipendente rimasto schiacciato tra la motrice e il semirimorchio

La colpa dell’imputato, nello specifico, era stata ravvisata nel non aver egli fornito i cunei bloccaruote all’autoarticolato costituito da un trattore e dal semirimorchio; nel non aver provveduto affinché due lavoratori, alle dipendenze dell’azienda con mansioni di conducenti di autoarticolati (attrezzature che richiedevano, per il loro impiego, conoscenze e responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici), ricevessero una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l’utilizzo dei veicoli in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che potevano essere causati ad altre persone; nel non avere comunque adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

Il Tribunale era pervenuto a un giudizio di penale responsabilità sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale dalle quali era emerso che uno dei lavoratori – alla guida del menzionato autocarro con cui venivano trasportate quattro lastre di cemento armato del peso di 258 quintali – aveva parcheggiato lungo una rampa di accesso di pendenza superiore al 12%, all’interno del cantiere in cui si trovava anche il suo collega deceduto, conducente anch’egli di un camion da rimorchio caricato, a sua volta, di lastre. Sceso dal mezzo, il lavoratore aveva iniziato le operazioni di scarico del materiale, mentre il collega, posto tra la parte posteriore della cabina e la parte anteriore del semirimorchio, era intento a controllare una perdita d’aria. Dopo che ebbe staccato il semigiunto collegato alla tubazione flessibile gialla del semirimorchio (azione che provoca la sfrenatura del semirimorchio), camion e rimorchio si mettevano in movimento verso lo scivolo, percorrendo tutta la rampa e andando ad urtare l’autogru che si trovava al termine della rampa. A seguito dell’urto, il carico di travi scivolava in avanti, investendo la vittima che rimaneva schiacciata tra la parte posteriore della motrice e il carico del semirimorchio, riportando lesioni che ne causavano il decesso.

Il Tribunale osservava che l’azione improvvida della vittima, consistita nel distacco della linea gialla moderabile che aveva determinato la messa in movimento del mezzo, andava attribuita ad un difetto nella formazione del dipendente, che non era consapevole delle conseguenze della propria manovra, mentre il collega non era adeguatamente addestrato sulle modalità di parcheggio in sicurezza del mezzo. Era stato poi accertato che questo era privo di cunei blocca-ruote come di manuale di istruzioni, mentre i travetti utilizzati di 10 cmx 10 cm erano del tutto inidonei allo scopo. Si era, pertanto, riscontrato un difetto di formazione del personale dipendente sull’utilizzo di mezzi di notevoli dimensioni che, se compiuta, avrebbe impedito l’evento. Né, ai fini di un’adeguata e specifica formazione, era stato ritenuto sufficiente il superamento dell’esame di abilitazione alla guida di tali mezzi, spettando essa al datore di lavoro, individuato, per l’appunto, nell’imputato.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per omessa valutazione di elementi emersi nel corso dell’istruttoria ed incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori. Dall’istruttoria del processo di primo grado, in specie dalla perizia e dalla sua integrazione, era inconfutabilmente emerso che la causa del sinistro era unicamente ascrivibile alla vittima che aveva autonomamente azionato la leva gialla della linea d’aria atta a sfrenare il veicolo. Unica causa dell’evento era stata la condotta del lavoratore qualificabile come abnorme ed imprevedibile. L’imputato lamentava, inoltre, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40 e 41, comma 2, cod. pen., sotto il profilo del mancato riconoscimento dell’insussistenza dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo del reato, stante l’interruzione del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, dovuta alla condotta abnorme della persona offesa, da sola sufficiente a determinarlo. Né la condotta della vittima poteva dirsi prevedibile.

I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze proposte.

La Cassazione ha preliminarmente rammentato che le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire l’incolumità dello stesso anche nell’ipotesi in cui, per imprudenza, disaccortezza, stanchezza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, egli si sia venuto a trovare in situazione di particolare pericolo. Invero, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità, intrinsecamente connaturali alla esecuzione di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni dei lavoratori, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Soltanto nell’ipotesi in cui il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, imprevedibile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero che si concreti nella inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni antinfortunistiche, è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro. La giurisprudenza ha anche affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché il comportamento colposo del lavoratore possa ritenersi abnorme e idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che esso sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Si è, altresì, precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il comportamento abnorme, idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore, il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo.

Secondo il dictum della Suprema Corte, dunque, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

La Cassazione, peraltro, ha da tempo chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l’evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni.

Nel caso in esame, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che le considerazioni svolte in sede di merito nel si collocavano appieno nell’alveo dell’anzidetto orientamento, ripetutamente espresso dalla Corte di legittimità, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. In particolare, sul punto, la sentenza impugnata osservava che, “se è pur vero che il distacco del semigiunto collegato alla tubazione flessibile gialla del semirimorchio, da parte del lavoratore deceduto, ha provocato la sfrenatura del semirimorchio del collega” tale condotta, “nell’ambito di una sinergia tra i due conducenti dei mezzi, tale da giustificare una ingerenza da parte del collega che si era accorto della perdita d’aria, non risulta totalmente esorbitante ed imprevedibile per il datore di lavoro .il quale avrebbe dovuto fornire i mezzi di cunei blocca-ruote e i manuali di istruzione sulla frenatura dei veicoli in condizioni di sicurezza, giacché era prevedibile che, per lo scarico della merce, i predetti mezzi dovessero essere posizionati in cantieri con rampe o pendenze del terreno”.

La giurisprudenza di legittimità – hanno precisato dal Palazzaccio – ha, più volte, sottolineato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili, come è avvenuto nel caso di specie, della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica.

Il profilo di colpa dell’imputato, pertanto, era stato correttamente ravvisato nell’aver questi omesso di munire i mezzi, come invece avrebbe dovuto, di manuali di istruzione e di cunei blocca-ruote la cui apposizione avrebbe sicuramente scongiurato il tragico evento.

La redazione giuridica

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