La vicenda in esame tratta di un sinistro stradale mortale asseritamente causato da una sconnessione stradale. La Corte di Cassazione cassa la decisione di appello perché non risulta correttamente eseguito il ragionamento dell’invasione di corsia da parte della vittima (Corte di Cassazione, III civile, 12 giugno 2024, n. 16397).
Il caso
I congiunti del motociclista deceduto citano davanti al Tribunale di Firenze la Provincia di Firenze, l’altro motociclista e Liguria Assicurazioni SpA, per sentirne accertare la responsabilità per il gravissimo incidente in cui aveva perso la vita il familiare.
Quest’ultimo, alla guida del proprio motociclo, accostatosi alla linea di mezzeria per svoltare a sinistra ed entrare nell’area di un distributore di carburante, era caduto a terra a causa di una sconnessione stradale, scivolando nell’altra corsia di marcia, sopraggiungeva un altro motociclo che lo travolgeva causandone il decesso.
Il Tribunale, escussi dei testi e disposta una CTU, ritenne non provato il nesso causale tra la sconnessione stradale ed il sinistro. I giudici esclusero altresì la responsabilità del secondo motociclista, avendo i testi dichiarato che il medesimo non stesse viaggiando contromano ma all’interno della propria corsia di marcia e in prossimità del margine destro.
La Corte d’Appello di Firenze ha confermato la ricostruzione dei fatti svolta dal Tribunale e ha rigettato il gravame ritenendo che il giudice di prime cure avesse correttamente applicato i principi in materia di riparto dell’onere della prova. Pur risultando che il secondo motociclista avesse tenuto una velocità di marcia maggiore rispetto al limite di velocità, la Corte ha ritenuto non potesse dirsi provato il nesso causale tra tale condotta di guida e il sinistro, risultando che la caduta della vittima ed il sopraggiungere dell’altro motociclista fossero stati eventi simultanei, sì da impedire a quest’ultimo di poter evitare l’impatto quale che fossa la velocità da egli tenuta.
Il Giudice di appello ha inoltre considerato che l’invasione di corsia da parte della vittima coincideva con il sopraggiungere del secondo motociclista, sicché l’impatto non sarebbe stato altrimenti evitabile per la simultaneità dei due eventi.
Il ricorso in Cassazione
Gli eredi della vittima si rivolgono alla Corte di Cassazione. I ricorrenti denunciano motivazione apparente con riguardo al passaggio con cui la Corte del merito, pur riconoscendo che il secondo motociclista non si trovava sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro, ha escluso che tale condotta potesse essere considerata ai fini del contributo causale nell’evento, perché giustificabile secondo il CTU “con la presenza di varchi da cui sarebbero potuti uscire mezzi”.
E ancora, i ricorrenti censurano che la corte del merito, pur avendo accertato che il secondo motociclista viaggiava ad una velocità superiore ai limiti prescritti (48/50 km/h in luogo dei 30 ivi previsti), ha ritenuto tale elemento irrilevante dicendo che, “anche qualora la velocità fosse stata mantenuta entro i limiti, l’impatto sarebbe stato inevitabile, trattandosi di scontro avvenuto tra un veicolo sopraggiungente e un corpo caduto simultaneamente e dotato di forza cinetica”.
Effettivamente la sentenza non spiega perché il fatto accertato del secondo motociclo senza tenere la destra del senso di marcia, cioè stando in prossimità del suo margine destro, sia stato irrilevante ai fini della causazione del sinistro.
La sentenza indica le ragioni addotte dal Consulente circa la possibile spiegazione della marcia non in prossimità del margine, ma in ogni caso non giustifica in alcun modo l’irrilevanza della anomala condotta di marcia. Detto altrimenti: la Corte non ha risposto alla circostanza che se il secondo motociclista avesse marciato tenendo la prossimità al margine destro della corsia di sua pertinenza avrebbe comunque investito la vittima e lo avrebbe investito con gli stessi esiti mortali.
La Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza
Infine, l’affermazione secondo cui il secondo motociclista, “ove avesse viaggiato alla velocità di 30 km/h, avrebbe avuto 9 metri per porre in essere una manovra d’emergenza integra una mera ipotesi matematica, priva di aderenza alla realtà fattuale” è apodittica. Nella motivazione non si spiega perché la velocità di marcia entro il limite di trenta Km orari avrebbe provocato comunque lo scontro: se anche fosse stata data una spiegazione al riguardo, bisognava spiegare perché la morte si sarebbe comunque verificata e perché non vi sarebbero state invece conseguenze meno gravi.
Conclusivamente, la sentenza viene cassata ed il Giudice del rinvio dovrà decidere accertando l’esistenza o meno della rilevanza causale che avrebbe potuto avere sia un comportamento di marcia del secondo motociclista in prossimità del margine destro della propria corsia, sia l’esistenza o meno della rilevanza causale della velocità di marcia del medesimo e ciò anche agli effetti della causazione di un danno diverso da quello mortale.
Avv. Emanuela Foligno