Confermata la condanna di un commerciante del settore vinicolo accusato di aver immesso nel mercato prodotti industriali con segni mendaci

Integra il reato previsto dall’art. 517 c.p., in relazione alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, la messa in circolazione di una bevanda evocativa del gusto di un vino “doc” italiano, da comporre ad opera del consumatore, nel caso in cui il mosto, fornito dal venditore, non sia di origine italiana, diversamente da quanto desumibile dalla confezione (recante l’indicazione di vini italiani, le effigi della bandiera italiana e del Colosseo). Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9357/2020 pronunciandosi sul ricorso presentato da un commerciante condannato, in sede di merito, per il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci ai sensi dell’art. 517 del codice penale.

Nello specifico, all’imputato veniva contestato di aver immesso sul mercato un kit di prodotti contenente mosto, tappi, etichette, recanti nelle confezioni le indicazioni di vini italiani a denominazione di origine protetta, la dicitura “vino italiano”, le effigi del tricolore italiano e del Colosseo. In tal modo, secondo l’accusa, sarebbe stata ingenerata negli acquirenti la falsa convinzione che si trattava di una bevanda composta da mosti di origine italiana.

Nell’impugnare la pronuncia per cassazione, il ricorrente eccepiva, tuttavia, che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto provato che i mosti utilizzati per creare il kit non fossero di origine italiana.

Inoltre, a suo avviso, il Giudice di secondo grado aveva erroneamente ritenuto che i nomi riportati sulle etichette contenute all’interno del kit fossero idonee a trarre in inganno l’acquirente sull’origine e sulla provenienza dei mosti, considerando che le uniche indicazioni che richiamavano i prodotti nella scatola non riguardavano il mosto, ma erano costituite da etichette da applicare alle confezioni del prodotto realizzato a cura dell’acquirente.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato. Con riferimento alla contestazione dell’origine del mosto, gli Ermellini hanno evidenziato come la Corte d’appello avesse desunto la prova che i mosti utilizzati per creare il kit non provenissero da vitigni italiani sulla base della valutazione congiunta di una pluralità di elementi, gravemente indiziari. L’imputato, dal suo canto, non aveva documentato la provenienza italiana dei mosti, “ciò non comportando un’indebita inversione dell’onere della prova”. Gli elementi indicati dalla pubblica accusa, infatti, avrebbero potuto essere confutati dalla prova della provenienza del mosto da vitigni italiani: prova peraltro di agevole dimostrazione, ove realmente esistente, che, tuttavia, il ricorrente non aveva mai fornito.

In relazione all’eccezione relativa alle etichette gli Ermellini hanno ricordato che, ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, “l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.”.

La stessa disposizione precisa inoltre che “costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana”.

Secondo la Cassazione, quindi, la “fallace indicazione” del marchio di provenienza o di origine impressi sui prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra il reato previsto dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, qualora, attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni mendaci e figure, il consumatore sia indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana. Risulta inoltre integrato l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49 bis, della medesima legge qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore sia indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti.

Nel caso in esame, era di tutta evidenza che il consumatore, nell’acquistare il kit, fosse tratto in inganno sull’origine italiana del mosto, utilizzato per preparare la bevanda al gusto di vino.

La redazione giuridica

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