Lavorava come segretaria part time in uno studio medico, dove aveva effettuato circa 4.500 accessi al popolare social network in 18 mesi

Dopo il ricorso presentato dalla segretaria, la Cassazione si è pronunciata sulla vicenda, confermando il licenziamento e statuendo in ordine alla notifica degli atti giudiziari col mezzo telematico. Per l’occasione è stato ribadito il seguente principio di diritto: non sono affetti da nullità gli atti notificati in formato word, se raggiungono il proprio scopo legale.

La vicenda

Circa 6 mila accessi nel corso di 18 mesi, di cui 4.500 circa su Facebook, tutti effettuati durante l’orario di lavoro e per durate talora, davvero significative.

Questi erano i fatti contestati alla lavoratrice dipendente dello studio medico.

Dopo il provvedimento di licenziamento, la donna si rivolgeva al giudice del lavoro per far dichiarare l’illegittimità del provvedimento espulsivo che – a sua detta – avrebbe avuto carattere ritorsivo e perché no, anche discriminatorio.

Ma la domanda non veniva accolta in primo grado. Senonché anche in appello i giudici della Corte territoriale confermavano il licenziamento, comprensibile vista la gravità dei fatti contestati.

Il ricorso per Cassazione

La pronuncia con la quale i giudici della Cassazione si sono espressi in ordine alla vicenda in commento, assume rilevo anche sotto il profilo tecnico processuale. Oltre a confermare il licenziamento, gli Ermellini hanno chiarito alcuni aspetti in materia di notificazione di atti giudiziari col mezzo telematico.

Il datore di lavoro aveva infatti eccepito l’improcedibilità del ricorso avversario dal momento che la ricorrente lo aveva notificato col mezzo telematico ma gli atti erano stati inviati in formato non consentito, ovvero in word anziché in pdf come prescritto dalla legge.

Secondo i giudici della Suprema Corte il rilievo è, tuttavia, infondato.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, più volte ribadito che la consegna telematica di un atto in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”, che abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale della notificazione, nonostante la violazione della normativa inerente il processo telematico, esclude il verificarsi di qualsivoglia nullità (Cass. Sez. Un., n. 7655/2016).

La cronologia degli accessi a Internet e la privacy

Quanto al merito della vicenda, la ricorrente denunciava l’errore in cui erano incorsi i giudici di merito per aver fondato la decisione di conferma del licenziamento, sulla base dei report di cronologia dei suoi presunti accessi a Internet: ciò sia per l’insufficienza di tale riscontro al fine di dimostrarne la genuinità e l’effettiva riferibilità ad essa, sia per la violazione delle regole in materia di tutela della privacy.

Invero, proprio in riferimento alla dedotta violazione della privacy, i giudici Ermellini non si pronunciano, trattandosi di una questione introdotta per la prima col ricorso di legittimità e dunque inammissibile.

Quanto invece alla idoneità probatoria della cronologia (degli accessi a Internet), per gli Ermellini non vi sono dubbi: si tratta di elementi che possono rientrare nella formazione del libero convincimento del giudice di merito. Al riguardo la corte d’appello aveva ampiamente motivato, sostenendo che gli accessi alla pagina Facebook richiedono una password, sicché non dovevano nutrirsi dubbi sulla riferibilità di essi alla ricorrente.

E allora…confermato il licenziamento e respinto il ricorso.

La redazione giuridica

 

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