Centrale è il ruolo della motivazione della sentenza, ponendosi come presidio contro il rischio che la decisione si fondi su un’intima quanto insondabile intuizione del giudice

La vicenda

Il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza con la quale il Tribunale di Lanciano lo aveva dichiarato colpevole del reato di disturbo della quiete pubblica per fatti anteriori all’aprile del 2013, sanzionandolo con l’ammenda di 150,00 euro, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

L’uomo, gestore di un locale era accusato di aver arrecato disturbo al vicinato con emissioni sonore oltre la soglia consentita, avuto riguardo alla zona, in riferimento al PRG e al fatto che tali emissioni avvenivano soprattutto nelle ore notturne.

Con il primo motivo il ricorrente rappresentava la prescrizione del reato in epoca antecedente alla sentenza impugnata; col secondo lamentava, invece, la mancata applicazione della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., oltre al vizio di carenza assoluta e manifesta illogicità della motivazione.

La Terza Sezione Penale (sentenza n. 38748/2019) ha accolto il ricorso perché fondato.

A tal proposito è stato ritenuto assorbente l’ultimo motivo relativo al vizio strutturale della sentenza che aveva reso impossibile cogliere le ragioni della decisione.

L’art. 546, comma 1 lett. e) c.p.p.(come modificato dall’art. 1, comma 52, legge n. 103/2017), detta le regole alle quali il giudice si deve conformare nel redigere la motivazione della sentenza, prescrivendo, in particolare, che siano esposti in modo conciso i motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione si fonda; che siano indicati i risultati acquisiti e i criteri di valutazione della prova adottati; che siano enunciate le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le prove contrarie con riferimento a tutti gli aspetti della regiudicanda ed, in particolare: a) all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla loro qualificazione giuridica; b) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell’art. 533, e della misura di sicurezza; c) alla responsabilità civile derivante dal reato: d) all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali.

L’intervenuta modifica legislativa dell’art. 546 c.p. ha rafforzato il ruolo centrale della motivazione, prescrivendo criteri che non costituiscono certo un orpello formale-redazionale, ma che consentono la verificabilità razionale ed empirica della decisione del giudice e il controllo del suo operato dalle parti ed eventualmente dal giudice dell’impugnazione, ponendosi come presidio contro il rischio che la decisione si fondi su un’intima quanto insondabile intuizione del giudice.

L’esplicito richiamo alla necessità di indicare non solo le prove, ma anche i risultati acquisiti e i criteri di valutazione rende ancor più stringente la necessità che il giudice non si limiti ad una mera rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo ma che ne sintetizzi in modo critico i contenuti in modo da rendere comprensibile (ed ostensibile) la base fattuale del suo ragionamento.

Il rispetto dei criteri redazionali

Già da tempo la Suprema Corte ha chiarito che l’onere di valutazione dei mezzi istruttori e di esposizione dei passaggi logici che fondano il convincimento del giudice non è soddisfatto dalla pedissequa trascrizione delle dichiarazioni testimoniali non accompagnata da una riconsiderazione critica di esse (Sez. II, n. 43732/2007).

Nel caso in esame, la motivazione non assolveva all’onere di indicare i risultati ottenuti e i criteri di valutazione delle prove, né dava conto di quelle a discarico. Il che – a detta degli Ermellini – rendeva impossibile non solo comprendere in che modo fosse stato accertato (e quale fosse) il fatto storico ( e la sua effettiva sussunzione nella fattispecie incriminatrice), ma anche se la prescrizione fosse maturata prima della sentenza (come asserito dal ricorrente), ovvero se ricorressero gli estremi per l’applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 – bis c.p.

La sentenza è stata perciò, annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato e la causa rinviata alla corte d’appello competente quanto alle statuizioni civili.

La redazione giuridica

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