In primo grado il Tribunale aveva pronunciato sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio e, contestualmente, aveva rimesso la causa in istruttoria per la soluzione delle questioni patrimoniali ad essa collegate (quantificazione assegno di divorzio)

Nel frattempo, il marito aveva proposto appello contro la predetta sentenza, denunciando, tra l’altro, la mancata sospensione del processo in pendenza di quello ecclesiastico volto ad ottenere la dichiarazione di nullità del matrimonio.

Nelle more, terminati gli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, il Tribunale riconosceva il diritto della ex moglie all’assegno divorzile, che quantificava in euro 1.000,00, decisione che peraltro, veniva anche confermata in appello.

Il giudizio della corte d’appello

Il fatto che fosse stato instaurato un giudizio ecclesiastico volto ad ottenere l’annullamento di matrimonio, non incideva sulla statuizione relativa alle questioni patrimoniali della vicenda dal momento che la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio era già passata in giudicato, con conseguente validità per lo Stato italiano del vincolo coniugale; ed inoltre, l’ammontare dell’assegno determinato dai primi giudici era congruo, in relazione ai redditi dell’obbligato, alla durata del matrimonio e al presunto tenore di vita condotto dalla coppia.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’obbligato, riproponendo i predetti motivi di doglianza e, in particolar modo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c.; art. 8, comma 2, dell’Accordo del 18 febbraio 1984, reso esecutivo con L. n. 121 del 1985, circa la relazione tra gli effetti della sentenza passata in giudicato che aveva delibato quella ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, con quelli della sentenza non definitiva passata in giudicato che aveva pronunciato solo sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza nulla statuire in ordine alle relative conseguenze economiche.

La decisione dei giudici della Cassazione

Anche per gli i giudici della Cassazione le ragioni addotte dall’ex marito erano prove di fondamento.

La conclusione cui sono pervenuti i giudici circa il rapporto tra la sentenza di nullità del matrimonio e quella di divorzio – afferma, è, infatti, coerente con la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21331 del 2013, ed in precedenza n. 4202 del 2001; n. 4795 del 2005; n. 3186 del 2008; n. 12989 del 2012, vedi pure n. 11553 del 2018), che non si è limitata ad affermare il principio secondo cui il giudicato sulla spettanza di un assegno di divorzio resta intangibile, in ipotesi di successiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, ma ha, a monte, rilevato che non sussiste un rapporto di primazia della pronuncia di nullità, secondo il diritto canonico, del matrimonio concordatario sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili dello stesso matrimonio, trattandosi di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi.

E, soprattutto, ha aggiunto che, nel diritto italiano, il titolo giuridico dell’obbligo del mantenimento dell’ex coniuge si fonda sull’accertamento dell’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale fra i coniugi stessi che è conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale civile o alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, e non è costituito dalla validità del matrimonio, oggetto della sentenza ecclesiastica, tenuto conto che la declaratoria di nullità ex tunc del vincolo matrimoniale non fa cessare alcuno status di divorziato, che è uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero.

Ne deriva che la questione della spettanza e liquidazione dell’assegno divorzile non è preclusa quando l’accertamento inerente all’impossibilità della prosecuzione della comunione spirituale e morale fra i coniugi – che, come si è detto, costituisce il titolo giuridico dell’obbligo qui in discussione – sia passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del medesimo matrimonio, come si verifica nell’ipotesi in cui nell’ambito di un unico giudizio la statuizione relativa allo stato sia stata emessa disgiuntamente da quelle inerenti ai risvolti economici.

E, nella specie, tanto è accaduto: l’accertamento inerente all’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale fra i coniugi era passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, sicché la valutazione di spettanza e quantificazione dell’assegno divorzile doveva considerarsi pienamente ammissibile.

La quantificazione dell’assegno divorzile

La corte di merito, per giunta, si era attenuta anche ai parametri relativi alla quantificazione dell’assegno di mantenimento, applicando i seguenti principi di diritto:

a) all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate;
b) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;
c) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (…) Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La redazione giuridica

 

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