Non è stato accolto il ricorso presentato dal legale rappresentante di una s.r.l. contro il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di beni di scarsissimo valore economico e senza alcun legame con i fatti oggetto di imputazione

La Cassazione ha affermato che in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è irrilevante sia la valutazione del periculum in mora sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni col profitto del reato.

La redazione

In sede di riesame dei provvedimenti di sequestro, il Tribunale di Bergamo confermava l’ordinanza di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca nei confronti di un imprenditore, subordinatamente all’infruttuosità del sequestro diretto nei confronti dei beni della società, disposto dal Gip presso il medesimo Tribunale.

L’uomo era chiamato a rispondere dei reati di cui all’art. 10 quater, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 perché, nella qualità di legale rappresentante di una società di costruzioni (s.r.l.), utilizzando in compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241/1997 crediti inesistenti riferiti al periodo di imposta 2011, ometteva di versare le somme dovute per gli anni di imposta successivi (2012-2013).

Il ricorso per Cassazione

Contro il provvedimento del tribunale del riesame, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione di legge in relazione alla sussistenza del fumus e del periculum in mora.

Secondo la difesa dell’imprenditore mancavano i presupposti della concretezza ed attualità delle misura cautelare: ed invero, i beni oggetto del provvedimento impugnato erano di scarso rilievo economico (un conto corrente con un saldo di 554,11 euro, tre poste-pay e una carta prepagata con modestissimi saldi attivi) e, senza alcun legame con i fatti oggetto di imputazione.

Ma il ricorso non è stato accolto perché inammissibile.

La Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 42946/2019) ha ricordato che nell’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca con riferimento ai reati fiscali, il sequestro (a carico del rappresentante della società, indagato) è legittimo se l’indagato non fornisce prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta.

Nel caso in esame, nessuna prova concreta della esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica era stata fornita dal ricorrente, sia davanti ai giudici di merito che nel ricorso per cassazione.

Cosa diversa e del resto irrilevante, è la disponibilità patrimoniale della società.

Infatti i beni della società devono riguardare la confisca diretta, non essendo possibile relativamente al patrimonio della società il sequestro per equivalente.

Detto altrimenti, solo quando è possibile nei confronti della società il c.d. sequestro diretto del profitto di reato tributario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi a vantaggio della società medesima, che non può considerarsi, in questo caso, terza.

La giurisprudenza ha chiarito che “in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece irrilevante sia la valutazione del periculum in mora – che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo di cui all’art. 321 comma primo c.p.p. – sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni”.

La decisione

Quanto al fumus, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha affermato che “ il reato di indebita compensazione dei crediti non spettanti o inesistenti, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, sia nel caso di compensazione verticale, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa”.

In definitiva, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Avv. Sabrina Caporale

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