Emergono dati preoccupanti sulla sicurezza negli ospedali italiani, con 130 mila incidenti all’anno a danno degli operatori sanitari

Ogni anno in Italia sono circa 130.000 gli incidenti occupazionali a rischio biologico negli operatori sanitari, un dato che mette in luce come la sicurezza negli ospedali sia a rischio.
Circa il 75% degli incidenti sono rappresentati da punture accidentali con aghi e lesioni da taglienti, mentreil 25% da contaminazioni mucose e cutanee con sangue e altri liquidi biologici.
Dato ancora più grave in merito alla sicurezza negli ospedali per gli operatori sanitari, è che un incidente su 5 di quelli notificati nel nostro Paese si verifica con un paziente “fonte” portatore di epatite B, epatite C o HIV.

Dal primo Osservatorio Italiano 2017 sulla Sicurezza per gli operatori sanitari, due infermieri su tre ammettono di mettere in pratica almeno un comportamento che li mette a rischio.

Non solo. La categoria più a rischio sicurezza negli ospedali sembra essere proprio quella degli infermieri.
“L’infermiere, seguendo il paziente 24 ore su 24, è colui che ha più degli altri a che fare con taglienti e pungenti come gli aghi per le flebo”.  A dirlo è Barbara Mangiacavalli, Presidente Federazione Nazionale Collegi Infermieri (Ipasvi).
“Purtroppo – prosegue – è ancora elevato il numero di infortuni a rischio biologico derivante da queste ferite”.
Il 63% degli incidenti, infatti, coinvolgono aghi cavi, la metà dei quali pieni di sangue, il 19% aghi pieni, il 7% bisturi. Circa il 75% delle esposizioni si verifica quindi in relazione a procedure per le quali sono in larga misura disponibili dispositivi intrinsecamente sicuri.

Secondo Mangiacavalli “possiamo affermare che gli infermieri sono la categoria maggiormente esposta al rischio anche perché rappresentano i 2/3 del totale degli operatori”.

Si tratta di un fenomeno che registra ogni anno in Italia circa 100.000 incidenti (di cui il 35-50% non viene dichiarato) e 1.200.000 in Europa.
Secondo l’OMS nel mondo ogni anno si verificano oltre 3.000.000 di incidenti causati da strumenti pungenti o taglienti contaminati con HIV o virus dell’epatite B e C.
Un tema che, tra tanti altri, del 6° Summit organizzato dall’European Biosafety Network.
I referenti delle istituzioni europee e italiane si sono confrontati per fare il punto sulle procedure di sicurezza negli ospedali italiani.
Lo scopo è di individuare le possibili azioni da intraprendere per garantire la sicurezza a tutti gli operatori sanitari.
“L’Italia ha una eccellente legislazione sulla sicurezza del lavoro” dichiara Gabriella De Carli, infettivologa dello Studio Italiano Rischio Occupazionale da Hiv presso l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”(Irccs).
Per quanto riguarda la sicurezza dei dispositivi, l’Italia resta molto indietro.

Secondo i dati del Ministero della Salute relativi agli acquisti nel settore pubblico, la percentuale di conversione da dispositivi convenzionali a dispositivi di sicurezza è bassa.

Sono infatti poco più della metà. E si parla solo di dispositivi per accesso venoso periferico, i più pericolosi. Questi infatti raccolgono e trattengono sangue, primo veicolo di infezione se l’operatore si punge.
In occasione del Summit, inoltre, sono stati presentati per la prima volta i risultati dell’Osservatorio Italiano 2017 sulla Sicurezza di Taglienti e Pungenti per gli operatori sanitari.
E i dati sono preoccupanti. Due infermieri su tre ammettono di mettere in pratica almeno un comportamento che li mette a rischio di incidenti per puntura o taglio (66%).
Ben un terzo degli infermieri (32%) reincappuccia gli aghi usati, manovra esplicitamente proibita dal 1990 e ulteriormente ribadita nella nuova legislazione.
Per non parlare dello smaltimento dei dispositivi contaminati. Nel 40% dei casi avviene in contenitori impropri, generando rischi anche per gli addetti alle pulizie.

“Gli operatori sanitari purtroppo antepongono spesso la sicurezza del paziente allo loro” commenta De Carli.

Inoltre, adottare opportuni piani di prevenzione eviterebbe “fino a 53.000 incidenti a rischio biologico, 550.000 ore lavorative perse e 16.000 giornate di malattia”.
Ogni anno in Italia vengono spesi almeno 36 milioni di euro per far fronte alle conseguenze delle ferite accidentali da aghi cavi.
Una cifra molto alta e che potrebbe aumentare, visti gli ultimi dati sulla sicurezza negli ospedali.
 
 
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