Respinto il ricorso contro l’assoluzione di un automobilista accusato del decesso di un pedone per averlo investito su un tratto di strada a visibilità limitata a causa del sole basso

Era finito a giudizio per il reato di cui all’art. 589 bis, comma 1, cod. pen., per aver cagionato la morte di un pedone che percorreva a piedi la strada nella stessa sua direzione di marcia, camminando sottobraccio con la moglie. Nello specifico era accusato di imprudenza e negligenza, consistite nel mancato rispetto dell’art. 141 d. Igs. 30 aprile 1992, n.285, non avendo adeguato la velocità, non riuscendo ad azionare tempestivamente l’impianto frenante, in un tratto di strada rettilineo ma a visibilità limitata a causa del sole basso in ragione dell’ora (circa le 20) prossima al tramonto.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’imputato non avesse visto il pedone a causa della condizione di abbagliamento da sole; che tale condizione, nota, pericolosa e prevedibile, avrebbe dovuto indurre l’automobilista a fermarsi in attesa del tramonto; che l’adeguatezza specifica della velocità, in termini inferiori al limite legale, non poteva ritenersi sussistente in quanto il consulente del pubblico ministero l’aveva valutata in misura pari a 50-60 km/h; che il concorso di colpa del pedone, che percorreva la strada priva di marciapiede volgendo le spalle ai mezzi che sopraggiungevano, non escludeva la responsabilità penale dell’automobilista.

La Corte di Appello, ribaltando il giudizio di condanna, non aveva condiviso quanto asserito dal Tribunale circa l’assoluta assenza di visibilità, precisando che nelle condizioni di luogo e di tempo in cui era avvenuto il sinistro la visibilità era ridotta in ragione del sole basso ma non assente e che il tratto da percorrere era distinguibile anche se non in condizioni ottimali ed imponeva all’automobilista di di adottare particolare cautela, adeguando la velocità di percorrenza; aveva, dunque, rilevato che la condotta contestata all’imputato fosse di non aver azionato l’impianto frenante in ragione della velocità non adeguata e che non potesse al medesimo ascriversi il diverso comportamento di non aver fermato la marcia.

Esaminando le quattro differenti ipotesi formulate dal consulente del pubblico ministero, sulla base dei dati istruttori, per individuare la velocità di marcia dell’automobile, la Corte era pervenuta alla conclusione che la velocità ricompresa fra i 50 e i 60 km/h fosse, come peraltro indicato dal consulente tecnico, adeguata e consona alla situazione.

La Corte di Appello aveva dissentito anche in merito all’affermazione resa dal giudice di primo grado circa le dimensioni anguste della strada, rilevando che si trattava di carreggiata in zona rettilinea larga complessivamente 5 metri.

Partendo dall’assunto che la velocità di marcia dell’automobilista fosse adeguata, rimarcando la colpa del pedone, la Corte aveva esaminato poi il dovere di attenzione che grava sugli automobilisti nei confronti dei pedoni, pervenendo tuttavia alla conclusione che l’automobilista si fosse trovato per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza nell’oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti in quanto dalla consulenza tecnica era emerso che il pedone, al momento dell’investimento, si trovava all’interno di un cono d’ombra creato dalla presenza di un albero; la Corte aveva ritenuto, in linea con il consulente tecnico della pubblica accusa, che tale circostanza fosse straordinaria e imprevedibile e che non vi fossero certezze in merito al dato, dirimente sotto il profilo della prevedibilità dell’evento, che l’automobilista avesse la possibilità di scorgere la presenza del pedone a ridosso o entro la banchina allorché aveva iniziato a percorrere il rettilineo e si trovava a distanza di 300 metri dal punto dell’impatto; tale valutazione era stata fondata sulle emergenze istruttorie, che non davano certezze circa la posizione del pedone prima del sinistro e sulla considerazione logica secondo la quale, se il pedone fosse stato fermo in corrispondenza del punto in cui si era poi creato il cono d’ombra, avrebbe potuto sentire il rumore dell’auto, voltarsi e vedere la macchina sopraggiungere.

Il Collegio territoriale aveva, dunque, concluso che le reciproche sedi dell’impatto auto-pedone fossero indicative di una improvvisa e incauta occupazione della corsia di marcia da parte del pedone.

Contro la pronuncia proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Sezione Distaccata di Corte di Appello deducendo, che il giudice di appello aveva contestato con motivazione illogica e contraddittoria le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado. Tale assunto si fondava, in primo luogo, sul fatto che non fosse stata fornita spiegazione logica del perché la presenza di un cono d’ombra proiettato da un albero fosse da considerare fatto non previsto e non prevedibile, essendo invece certamente visibile per il conducente, che avrebbe dovuto porre la massima attenzione. Secondo il Procuratore, l’illogicità e contraddittorietà della decisione era ancora più evidente ove si consideri la precisazione del consulente tecnico del pubblico ministero, secondo la quale i pedoni a ridosso o entro la banchina erano comunque visibili da una distanza superiore ai 300 metri rispetto al punto di impatto. Per quanto concerne la considerazione dei giudici di appello circa la mancanza di certezza del punto nel quale la vittima si trovava prima dell’investimento, il Procuratore ricorrente riteneva che dall’assunto che i due coniugi camminavano si sarebbe dovuto desumere, logicamente, che si trovavano certamente in un punto antecedente rispetto al punto di impatto, quindi fuori dal cono d’ombra dell’albero in posizione di maggiore visibilità. Anche le argomentazioni concernenti l’improvvisa e incauta occupazione della sede stradale da parte della vittima venivano censurate, posto che né la sede dell’impatto veicolo-pedone né la circostanza che il pedone avrebbe dovuto percepire, almeno acusticamente, l’arrivo del veicolo, dimostravano che il pedone avesse invaso la sede stradale, essendo tali elementi pienamente compatibili con il fatto che il pedone camminasse sul ciglio della strada, come descritto dalla moglie. Nel ricorso si deduceva che, in ogni caso, l’eventuale improvviso spostamento laterale del pedone non avrebbe escluso la responsabilità del conducente, che avrebbe dovuto certamente ridurre ulteriormente la velocità allontanandosi dal ciglio della strada.

Gli Ermellini, tuttavia, con la sentenza n. 24905/2021, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze proposte.

La prima considerazione svolta nel ricorso circa il vizio della motivazione della sentenza impugnata si sviluppava partendo dal duplice rilievo che il conducente potesse vedere il cono d’ombra e che tale cono d’ombra fosse percepibile almeno 300 metri prima del punto d’impatto; su tali rilievi, il Procuratore ricorrente basava l’affermazione per la quale sostenere che tale situazione fosse condizione imprevista e imprevedibile fosse manifestamente illogico, anche perché il consulente tecnico del pubblico ministero aveva sostenuto che i pedoni a ridosso o entro la banchina fossero comunque visibili da una distanza superiore a 300 metri rispetto al punto dell’impatto. Tale censura non teneva, tuttavia, in considerazione i fatti per come accertati dal giudice di merito e tendeva, in realtà, a proporre una diversa lettura delle risultanze istruttorie. Si faceva, in particolare, riferimento al fatto che la Corte di Appello avesse basato le sue valutazioni sulla considerazione del consulente tecnico circa il carattere straordinario ed imprevedibile del fatto che, all’ora dell’impatto, si fosse creata una particolare zona d’ombra causata dall’effetto del sole basso parzialmente ostruito da un albero frapposto tra la visuale del conducente e i raggi del sole. Il fatto accertato dal giudice di merito era, dunque, l’impossibilità per il conducente di scorgere il pedone in tempo utile, qualunque fosse la velocità tenuta, valutando come eccezionale coincidenza la presenza del pedone in un punto del cono d’ombra che ne impediva momentaneamente la visibilità proprio nell’attimo in cui l’automobilista sopraggiungeva; il Procuratore ricorrente chiedeva che tale fatto fosse rivalutato, asserendo che la visibilità del cono d’ombra 300 metri prima dell’impatto avrebbe imposto al conducente massima cautela. Si trattava, dunque, di censura inammissibile in quanto nella sentenza impugnata si era affermato che il fenomeno del cono d’ombra non fosse percepibile se non nell’esatto momento in cui l’automobilista sopraggiungeva nel punto d’impatto.

Il secondo rilievo concerneva, invece, il tema dell’avvistabilità dei pedoni da parte del conducente del veicolo quando questi si trovava alla distanza di 300 metri dal punto di impatto; secondo il Procuratore ricorrente non sarebbe logicamente consequenziale dire che i coniugi camminavano a braccetto e asserire che non vi fosse certezza circa la posizione del pedone investito quando l’automobilista era alla distanza di 300 metri, essendo certo che il punto in cui si trovavano i coniugi fosse antecedente rispetto al punto di impatto e quindi fuori dal cono d’ombra dell’albero, in posizione di maggiore visibilità. Anche questa censura tendeva a ottenere una diversa valutazione del medesimo fatto accertato dal giudice di appello circa la non percepibilità del cono d’ombra da parte dell’automobilista alla distanza di 300 metri dal punto di impatto; la Corte di Appello aveva valutato le dichiarazioni della moglie della vittima, secondo le quali i coniugi erano in movimento e camminavano a braccetto, come elemento tale da introdurre il dubbio circa la posizione del pedone allorché l’automobilista aveva imboccato il rettilineo. La Corte, coerentemente e logicamente, aveva ritenuto che, allorché l’automobilista aveva imboccato il rettilineo, la zona che al momento dell’impatto sarebbe stata interessata dal cono d’ombra fosse visibile e che, invece, fosse dubbio che il pedone avesse in quel medesimo istante già raggiunto tale zona. Il ricorso proponeva, dunque, una censura che non si confrontava esattamente con le ragioni della decisione.

La redazione giuridica

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