Non può essere condannato il titolare della ditta individuale per il solo fatto di aver trasferito alcuni beni immobiliari alla moglie: per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte non basta dedurre l’esistenza dell’atto simulato o fraudolento sulla base del mero rapporto di parentela, occorrendo invece una verifica delle effettive vicende societarie
La vicenda
La Corte d’appello di Brescia, riformando la decisione di primo grado, aveva condannato un imprenditore alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 d.lgs. 74/2000). Nello specifico, l’uomo, in qualità di titolare di una ditta individuale, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (oltre agli interessi e sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un totale di 29.000.000 euro), alienava simulatamente o comunque poneva in essere atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva avviata a seguito di verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza.
Contro tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’errore commesso dalla corte di merito per aver ritenuto sussistente il reato solo in base alla mera esistenza degli atti a sua disposizione, omettendo di motivare sulla specifica esistenza della condotta fraudolenta, sul dolo specifico, sul concorso degli acquirenti, sul prezzo di mercato effettivamente corrisposto, nonché sul danno all’erario.
A detta del ricorrente, la Corte d’appello aveva altresì omesso di valutare che in quel periodo il suo patrimonio immobiliare, aggredibile dall’Agenzia delle Entrate, fosse incrementato e egli era rimasto comunque proprietario delle quote della ditta, bene di maggior valore.
Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
In punto di diritto, la giurisprudenza ha più volte affermato che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 74/2000, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artifizio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sezione Terza, n. 29636/2018).
Per la concretizzazione del reato è sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace, in tutto o in parte, l’esecuzione esattoriale; il delitto è infatti un reato di pericolo concreto.
La norma distingue chiaramente due diverse condotte: l’alienazione simulata e gli atti fraudolenti.
L’alienazione è simulata quando è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale: quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) all’effettiva volontà dei contraenti.
Se invece il trasferimento del bene è effettivo, la condotta non può concretizzare l’atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile atto fraudolento.
Gli atti fraudolenti secondo la giurisprudenza
Secondo la giurisprudenza, atti fraudolenti (Sezione Terza, n. 25677/2012), sono tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.
Ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente dunque, la semplice idoneità dell’atto a ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta.
Nella vicenda in esame la corte d’appello aveva ritenuto che gli atti dispositivi posti in essere dal ricorrente fossero “manifestamente fraudolenti” trattandosi di un trasferimento puramente formale, operato in ambito familiare, allo scopo di paralizzare la riscossione del debito; il versamento del corrispettivo sarebbe servito solo a consolidar la veste formale dell’atto.
Il giudizio di legittimità
Tale ragionamento non ha convinto i giudici della Suprema Corte che hanno ritenuto la motivazione della sentenza impugnata palesemente contraddittoria, perché da una parte attribuiva agli atti di disposizione la natura fraudolenta e dell’altro riconosceva l’esistenza di un trasferimento puramente formale, quindi in realtà simulati.
Invero, hanno chiarito gli Ermellini – “la natura fraudolenta delle operazioni compiute non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario”.
La decisione
Nel caso di specie la corte territoriale aveva dedotto l’esistenza dell’atto simulato o fraudolento sulla base del mero rapporto di parentela, senza verificare le effettive vicende societarie e ciò in quanto “l’idoneità degli atti a eludere l’esecuzione esattoriale non può ritenersi di per sé sufficiente a riconoscere sia la natura ingannatoria o artificiosa degli atti, sia l’esistenza del dolo specifico richiesto dalla norma”.
Per queste ragioni la Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale, sentenza n. 6926/2020) ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia per un nuovo esame.
Avv. Sabrina Caporale
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