La normativa sulla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sanziona la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte di ammontare superiore a 50mila euro, aliena simultaneamente i propri beni rendendo inefficace la procedura esecutiva.

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, secondo la Suprema Corte Penale (sez. III, N. 766 del 2.7.2018), non è implicito alla dispersione dei beni aggredibili ma deve essere adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta.

La vicenda approda in Cassazione dalla Corte di Appello di Trieste, che confermava integralmente la pronuncia di condanna per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di prime cure del Tribunale di Pordenone.

L’impugnazione riguarda la condanna perpetrata in danno di un uomo (e della figlia) che con atti fraudolenti si sottraeva al pagamento di imposte per un importo superiore ai trecento mila euro liberandosi di proprietà immobiliari di cui era proprietario e di due motoveicoli di valore.

Inoltre l’uomo con parte del ricavato derivante dalle traslazioni delle proprietà immobiliari acquistava altro immobile che intestava in nuda proprietà alla figlia riservandosi l’usufrutto.

La decisione della Corte d’Appello viene impugnata in Cassazione per due motivi.

Con il primo motivo viene lamentata la mancata esplicitazione dell’iter argomentativo in ordine alla sussistenza dell’elemento costitutivo del reato considerando che gli atti compiuti non potevano considerarsi né simulati, né fraudolenti, risultando di fatto punita esclusivamente l’azione sottrattiva.

Con il secondo motivo l’uomo manifestava illogicità della motivazione della Corte territoriale poiché non aveva considerato l’assoluzione definitiva della figlia e conseguentemente per non avere considerato il venir meno della natura fraudolenta delle operazioni di compravendita contestate.

Gli Ermellini considerano il ricorso fondato.

Viene argomentato che iI giudizio di colpevolezza decretato dalle Corti Territoriali è stato basato sulla circostanza che l’imputato si era liberato dei beni immobili e mobili aggredibili di cui era proprietario subito dopo la notifica degli avvisi di accertamento, seguita nel giro di breve tempo dall’emissione delle cartelle esattoriali.

Quelle operazioni sono state considerate idonee ad integrare il dolo specifico del reato di sottrazione fraudolenta non avendo provveduto l’uomo a fornire giustificazioni sullo spoglio dei predetti beni, ivi compreso l’acquisto di ulteriore e nuovo cespite immobiliare sul quale l’imputato si era riservato il diritto di usufrutto, che veniva poi formalmente rinunziato un anno dopo l’acquisto.

La qualificazione giuridica di tali atti secondo gli Ermellini presenta una serie di problematiche non trattate dalle sentenze territoriali.

La normativa sulla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sanziona la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte di ammontare superiore a 50mila euro, aliena simultaneamente i propri beni rendendo inefficace la procedura esecutiva.

Gli Ermellini rilevano che dalla lettura combinata della normativa vigente sulla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte a quella precedentemente in vigore emerge la scomparsa del requisito dell’avvio di un qualsiasi accertamento fiscale configurandosi oggi la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto.

Oltretutto la norma attuale affianca e aggancia agli atti fraudolenti gli atti simulati.

L’indirizzo ormai consolidato dalla Suprema Corte sulla interpretazione di “atti fraudolenti” consiste nel ritenere fraudolenti tutti quei comportamenti che siano connotati da elementi di inganno o artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.

Viene dunque ribadito che ai fini della configurabilità del reato non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto a ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’erario, ma è necessario il compimento di atti che nell’essere finalizzati a ostacolare il recupero del bene si caratterizzano per la loro natura simulatoria o fraudolenta.

Tale principio è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite con la nota pronunzia del 2017 con la quale è stato affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità la lettura della norma focalizzata alla coincidenza del requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito.

In quest’ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma perché non si può automaticamente fare coincidere la natura simulata dell’alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le aspettative esecutive dell’Erario.

I Supremi Giudici ulteriormente osservano che nella descrizione degli elementi costitutivi del reato la sentenza territoriale impugnata è oggettivamente carente.

Non risulta in definitiva adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta delle operazioni compiute dall’imputato che non può e non deve essere ritenuta implicita nella sola idoneità di difficoltà del recupero del credito da parte dell’erario.

In particolare ciò su cui è è necessario porre l’accento la mancata adeguata motivazione della prova della (eventuale) compiacenza delle parti coinvolte nelle traslazioni delle proprietà in considerazione del fatto che i prezzi delle traslazioni non risultavano inadeguati rispetto ai valori di mercato, con la conseguenza che il carattere fraudolento delle predette operazioni di vendita  non può ritenersi acclarato.

Conseguentemente la Suprema Corte annulla la sentenza d’Appello e rinvia ad altra sezione della corte territoriale per nuovo giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

(Foro di Milano)

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