Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha chiarito come individuare, in caso di pluralità di domande e di reciproca soccombenza, la parte “maggiormente soccombente” cui addebitare le spese di giudizio

In caso di pluralità di domande contrapposte e di loro parziale accoglimento, con reciproca parziale soccombenza, ai fini di individuare la parte, per così dire, “maggiormente soccombente” cui addebitare le spese di giudizio, occorre aver riguardo al valore delle domande (nella parte in cui sono state) accolte”.

La vicenda

L’attore convenne in giudizio davanti al Giudice di pace di Roma una nota compagnia telefonica chiedendo che fosse accertato, in relazione al suo contratto di utenza, la non debenza dell’importo di euro 653,82 chiesto dalla convenuta con fatture emesse successivamente alla cessazione del rapporto.

Chiese, inoltre, la condanna della società alla restituzione dell’importo di euro 227,28 asseritamente versato in eccedenza, a titolo di pagamento della tassa di concessione governativa, e al pagamento di euro 600 a titolo di spese stragiudiziali e di euro 1.000 per risarcimento del danno non patrimoniale.

La società convenuta sostenne di non aver mai ricevuto la lettera di recesso da parte dell’attore nei modi e nei termini stabiliti dal contratto e chiese, pertanto, in via riconvenzionale, il pagamento di euro 528,93, portato dalle fatture in contestazione, al netto di alcuni importi (tra cui quelli imputati a tassa di concessione governativa) riconosciuti come non dovuti.

Il processo di merito

In primo grado, l’adito Giudice di pace riconobbe la validità della disdetta del contratto d’utenza ma rigettò le domande di parte attrice per mancanza di prova dell’avvenuto pagamento del maggiore importo imputato a tassa di concessione governativa, anche perché le somme portate delle fatture in contestazione risultavano pacificamente non pagate. Accolse per contro solo in minima parte, la domanda riconvenzionale, accertando la debenza del solo importo di euro 67,11. Regolò quindi le spese in base al principio della soccombenza.

Il Tribunale di Roma, in qualità di giudice dell’appello, rigettò l’appello interposto dall’utente, condannandolo alle spese del grado.

Il ricorso per Cassazione

Contro tale decisione quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, l’erroneità della condanna alle spese del primo e secondo grado di giudizio, assumendola frutto dell’erroneo presupposto del quasi integrale rigetto delle proprie domande, che invece erano state quasi integralmente accolte.

Sosteneva, al riguardo, che il tribunale avrebbe potuto al più pronunciare, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, la compensazione delle spese di lite ma non la condanna della parte vittoriosa (o comunque “parzialmente” vittoriosa) ovvero la compensazione parziale delle spese, in tal caso però ponendo la restante parte a carico del convenuto.

Ebbene il ricorso è stato accolto, per le seguenti ragioni (Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, ordinanza n. 1269/2020).

Era indubbio che si fosse in presenza di una ipotesi di reciproca soccombenza, la quale avrebbe potuto, in astratto, giustificare, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, la compensazione, parziale o integrale, delle spese. Quest’ultima, tuttavia, hanno ricordato gli Ermellini, costituisce una facoltà e non di obbligo per il giudice, il quale, anche in presenza di una soccombenza reciproca può decidere di non compensare, anche in nessuna misura, le spese.

Tanto premesso si trattava di verificare se, in presenza per l’appunto di reciproca soccombenza, la scelta della parte cui addebitare, per intero, le spese fosse stata corretta o meno.

Il principio di causalità e l’individuazione della parte cui attribuire le spese di giudizio

Ebbene, la Corte di Cassazione ha affermato che mentre nel caso di processo con domanda unica, il parziale accoglimento dell’unica domanda e la conseguente esistenza di una soccombenza reciproca di entrambe le parti, ove si ritenga di non compensare le spese (o di compensarle solo parzialmente), non fa venir meno la rilevanza del principio di causalità ai fini della individuazione della parte cui attribuire l’onere delle spese (questa dovendosi sempre individuare nel convenuto, salvo il solo caso di cui al secondo inciso dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e anzi proprio argomentando a contrarlo da esso), nel caso invece di pluralità di domande contrapposte – come quello oggetto di causa -, il loro parziale accoglimento, con reciproca parziale soccombenza, non rende possibile il ricorso al principio di causalità per individuare la parte cui porre a carico le spese, in tutto (in caso di non compensazione) o in parte (in caso di compensazione solo parziale).

Se infatti, da una parte “l’applicazione pura e semplice del principio di causalità, cioè la responsabilità della introduzione della domanda, implicherebbe che essa debba riferirsi per ognuna a chi l’ha proposta e che, dunque, dovrebbe farsi luogo a due contrapposte condanne, l’art. 92 c.p.c., comma 2, implica invece il potere del giudice di regolare le spese o facendo luogo alla compensazione totale o facendo luogo ad una compensazione parziale.

In questo secondo caso, la condanna parziale alle spese di giudizio può avere luogo a carico di quella parte la cui domanda, pur accolta, si presenta sostanzialmente di minor valore rispetto a quella accolta a favore dell’altra parte.

Nell’ipotesi di pluralità di domande, le due causalità ricollegate all’introduzione delle due domande possono dal giudice in sostanza essere confrontate fra loro ed allo stesso giudice è consentito di individuare quella più importante in relazione al valore della domanda”.

Tale principio – hanno chiarito gli Ermellini – va ovviamente osservato, nel caso di soccombenza reciproca determinata dal rigetto o dal solo parziale accoglimento delle domande contrapposte, anche nell’ipotesi in cui il giudice scelga (nell’esercizio del potere discrezionale rimessogli dall’art. 92 c.p.c., comma 2) di “non” compensare le spese, ai fini della individuazione della parte cui addossarne per intero l’onere.

Ed è proprio alla luce di tale criterio che nella specie è stata ritenuta non corretta la decisione di porre le spese di primo grado a carico di parte attrice e, conseguentemente, anche la sentenza d’appello impugnata doveva ritenersi errata nella parte in cui non aveva accolto il gravame della ricorrente.

La decisione

Se, infatti, come condivisibilmente affermato dal precedente richiamato, ai fini di individuare la parte, per così dire, “maggiormente soccombente”, occorre aver riguardo al – e confrontare il – valore delle domande (nella parte in cui sono state) accolte (e non dunque il valore delle domande rispettivamente rigettate), tale per cui “maggiormente soccombente” deve ritenersi la parte la cui domanda accolta sia di minor valore, appare indubbio che nel caso in esame questa fosse la società resistente, atteso che la domanda da essa proposta aveva trovato accoglimento per il solo importo di euro 67,11, mentre la domanda contrapposta (di accertamento negativo) dell’utente aveva trovato accoglimento, come espressamente affermato in sentenza, per il ben maggiore importo della differenza tra euro 653,82 (totale ammontare delle fatture emesse) e, per l’appunto, euro 67,11 (unico importo per cui il credito portato da quelle fatture era stato ritenuto fondato).

Per queste ragioni la sentenza del tribunale capitolino è stata cassata.

La redazione giuridica

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