In tema di spese di giustizia si riscontra una sostanziale e persistente asimmetria tra le posizioni del privato cittadino e la Pubblica Amministrazione

Il tema della regolamentazione delle spese di lite è fra i più delicati e dibattuti, in dottrina ed in giurisprudenza, degli ultimi due lustri almeno.

La delicatezza del tema e di conseguenza l’ampiezza e la frequenza dei contributi si radica nella possibile deterrenza che il profilo delle spese ha o può avere sulla tutela dei diritti delle persone.

Elemento chiave su cui, forse, l’ordinanza in commento consente di porre la parola fine in senso positivo è se le spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio rientrino o meno tra le spese regolabili.

Con l’ordinanza in commento (OC Sez. 6 13.9.2021 n. 24645) la Cassazione afferma infatti che i compensi e le spese della CTU rientrano tra le spese suscettibili di regolamentazione ex artt. 91 e 92 c.p.c; sicché le stesse possono essere compensate anche a fronte di parte processuale totalmente vittoriosa.

Il principio affermato è in apparente contrasto con il divieto generale di condanna alle spese della parte integralmente vittoriosa, ma parte dal presupposto che la compensazione non è una condanna ma semplicemente l’esclusione di un rimborso.

Il motivo di tale rilevanza risiede anche nel combinato disposto delle norme vigenti che – a partire dal 2003 – hanno progressivamente eroso la ormai mitica gratuità del processo del lavoro e – come nella fattispecie risolta nella decisione in commento – previdenziale.

Gli oneri collegati ad un eventuale esito negativo del giudizio sono, come già accennato, tali da allontanare il cittadino dal proprio giudice naturale e dalla tutela di diritti anche fondamentali.

Un effetto, forse non voluto dai legislatori che nel tempo si sono esercitati in materia, ma particolarmente grave nella misura in cui incide direttamente sui diritti di protezione sociale della persona.

Venendo direttamente alle argomentazioni dell’ordinanza in commento si parte – ed è finalmente un punto fermo- dal presupposto logico che include le spese di consulenza nel più ampio novero delle spese di giustizia.

Tale inclusione, derivante peraltro dalla logica e dal buon senso giustifica, per la Cassazione l’applicazione anche ad esse della nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione totale o parziale delle spese del processo in presenza di una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate.

La portata innovativa in questo caso, tale da andare al di la della singola fattispecie concreta, sta nel consentire la compensazione anche quando una delle parti processuali abbia integralmente ottenuto il bene della vita oggetto di controversia, e possa quindi considerarsi integralmente vittoriosa in senso tecnico.

L’apparente e già rilevato contrasto con la norma generale processual civilistica – che la stessa Cassazione riporta nel proprio ragionamento – contenuta nel novellato regime posteriore alle modifiche introdotte con la legge 69/2009 che in linea generale vieta di condannare alle spese la parte integralmente vittoriosa del procedimento, si risolve considerando l’ammissione e lo svolgimento della consulenza (spesso un vero e proprio sub procedimento) come atti compiuti nell’interesse della giustizia e dunque in base ad un interesse comune alle parti. Si tratta infatti di un ausilio fornito al giudicante da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso stretto.

Nello specifico la figura dell’ausiliare è definita dalle norme come il perito, il consulente tecnico, l’interprete, il traduttore o qualunque altro soggetto, competente in una determinata materia, arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il titolare dell’ufficio può nominare a norma di legge. La funzione si traduce quindi in un ausilio al giudice per l’accertamento e la conoscenza della verità come peraltro si intuisce tenendo a mente la formula di impegno che gli ausiliari nominati sono tenuti a ripetere prima dell’affidamento formale dell’incarico peritale.

La natura di ausilio della consulenza tecnica consente – secondo i giudici della Suprema Corte – di ritenere compensabili le relative spese, senza andare in contrasto con il generale divieto di condanna alle spese della parte vittoriosa che riguarda, a norma di legge, le spese di controparte.

Fermi dunque gli anzidetti principi è però palese che la rilevanza dell’operato dell’ausiliare e in ipotesi della stessa ammissione della consulenza varia a seconda delle materie e delle specifiche regolamentazioni di settore. In via generale non si dovrebbe quindi prescindere – nel momento della dovuta regolamentazione delle spese – dalla considerazione delle specifiche norme processuali che regolano lo specifico ed ampio campo del diritto civile.

Vi sono infatti settori del diritto in cui la funzione dell’ausiliare diviene centrale, acquisendo funzioni che sono quelle proprie del consulente nell’accertamento tecnico preventivo (sia di codicistica memoria o – più di recente – nell’accezione propria dell’art. 445 bis c.p.c.), in particolar modo per quanto concerne la valutazione medico legale.

Se è vero che in tali ambiti il Giudice può affidare incarico non solo di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti, ma anche quello di accertare i fatti stessi, con la conseguenza che in tale ipotesi la consulenza diviene essa stessa fonte di prova; si tratta di una ipotesi nella quale l’ausiliare assume una funzione definita – in giurisprudenza ormai risalente – come percipiente. Una tale funzione si giustifica quando la necessità o l’opportunità della consulenza tecnica si presenti come strumento necessario all’accertamento ed alla descrizione dei fatti, ovvero quando questi siano riscontrabili solo attraverso specifiche cognizioni ed esperienze tecniche che non siano percepibili, per loro natura, dal profano o dall’uomo di normale diligenza.

A parere di chi scrive si tratta di elementi che incidono inevitabilmente, ed in misura potenzialmente anche profonda su diversi profili del giudizio, rendendo necessaria una specifica regolamentazione anche del profilo delle spese, di cui l’ordinanza in commento rappresenta un primo fondamentale tassello.

Con specifico riferimento al comparto regolamentato dall’art. 445 bis c.p.c. sembra ovvio che la funzione della consulenza ammessa nella prima fase sia proprio di natura percipiente, ma non può tacersi che in tale ambito rientrano materie che riguardano – più spesso di quanto si creda – diritti di personalità delle parti private interessate.

Senza voler entrare nella disamina diretta di tale ultimo tema, eccessivamente ampio per queste righe, basta rammentare a parere di chi scrive che se i diritti della personalità sono quelli che tutelano i beni fondamentali della persona, quali ad esempio vita, integrità fisica e morale o la dignità, beni che preesistono agli ordinamenti che si limitano a riconoscerne l’esistenza e la fruibilità in capo al singolo individuo, per definire se ci si trova innanzi ad un siffatto diritto occorre verificare se la misura presa in considerazione, integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di bisogni primari inerenti la sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare.

La procedura stabilita dall’art. 445 bis c.p.c. riguarda senza ombra di dubbio provvidenze che rappresentano interventi integrativi di sostegno alle persone e/o al loro nucleo familiare diretto e, come tali si pongono a tutela della salute psicofisica delle persone con disabilità e pertanto rappresentano espressione dei loro diritti di personalità.

Ogni diversa prospettazione si risolverebbe in una discriminazione evidente, se si considera che la non discriminazione altro non è che il profilo negativo del principio di uguaglianza, in base al quale la parità di trattamento trova la propria base normativa in Costituzione laddove si indicano determinate caratteristiche e profili che non sono idonei a giustificare un trattamento differenziato, tra cui a memoria anche il censo.

Anche in tema di spese, dunque per ritornare al tema della ordinanza in commento, si riscontra una sostanziale e persistente asimmetria tra le posizioni del privato cittadino, che si rivolga al suo giudice naturale per tutelare un diritto della personalità, e la Pubblica Amministrazione; asimmetria che si risolve in un ingiusto vantaggio per quest’ultima, per cui si auspica – in queste materie – il ritorno alla antica e già citata gratuità del processo.

Silvia Assennato – Avvocato in Roma

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