Il giudice ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi che integrano il reato di atti persecutori previsto dall’articolo 612 bis del codice penale

Dopo essersi trasferita all’interno di un condominio, una coppia omosessuale ha cominciato a essere bersaglio di continue e umilianti condotte minacciose e denigratorie da parte di un condomino; un comportamento peraltro spesso avallato  esplicitamente e implicitamente anche dagli altri condomini. Chiamato in giudizio davanti al Tribunale di Torino l’uomo è stato ritenuto colpevole del reato di stalking, previsto dall’articolo 612 bis del codice penale. Sebbene in Italia non esista una specifica legislazione specifica anti-omofobia il giudice ha ritenuto che le condotte contestate all’imputato fossero riconducibili a tale fattispecie.
L’articolo 612 bis del codice penale, prevede infatti, ai fini della configurabilità del reato, che la condotta molesta posta in essere dall’agente provochi alternativamente, come conseguenza diretta, “un perdurante e grave stato di ansia o di paura”, “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” o ancora l’alterazione delle abitudini di vita della vittima.
Nel caso in esame il giudice ha rilevato che tutti e tre gli elementi fossero compresenti ravvisando la natura ‘plurioffensiva’ del reato. “La verificazione di tutti e tre gli eventi – osserva – non può essere messa in discussione alla luce delle testimonianze rese, della documentazione versata in atti e, in definitiva, dall’epilogo della vicenda, che si è concluso con la effettiva estromissione della coppia dal contesto condominiale (e addirittura con la rottura del rapporto all’interno della medesima)”.
Le reiterate minacce ed intimidazioni poste in essere dall’imputato, quindi, sono state ritenute più che sufficienti ad integrare il reato sotto il profilo oggettivo, ma anche sotto quello soggettivo, in considerazione sia della punibilità per ‘dolo generico’, sia della consapevolezza, da parte sua, del clima di generale intolleranza nei confronti della coppia che si era venuto a creare nel condominio.
Tale consapevolezza, precisa il giudice, “era ampiamente radicata, tenuto anche conto delle complessive vessazioni subite dalla coppia nel contesto condominiale”, da cui “derivava una maggiore fragilità delle vittime, già provate dal clima omofobo instauratosi, e quindi una ben più incisiva forza intimidatrice dei comportamenti dall’imputato tenuti, con rafforzamento degli effetti in termini di perdurante e grave stato di ansia e di paura, fondato timore per l’incolumità propria e del proprio compagno, costrizione della vittima ad alterare le proprie abitudini di vita, fino all’abbandono forzato dell’appartamento”.
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