Ai fini del riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio non basta affermare di essere stati sottoposti per lungo tempo a lavori stressanti, dovendosi invece dimostrare l’efficacia causale dello stress quale fattore di rischio con riferimento all’attività lavorativa in concreto prestata

In altre parole, non è sufficiente affermare che l’attività di servizio sia stata caratterizzata dalla sottoposizione a stress, disagi, strapazzi e sforzi fisici anche prolungati perché sia riconosciuta la causa di servizio dell’infermità lamentata.

La vicenda

La moglie di un carabiniere, deceduto a causa di un malore improvviso mentre era alla guida della sua autovettura, aveva presentato richiesta di riconoscimento d’ufficio ex art. 3 del d.p.r. 461/2001, della dipendenza da causa di servizio del decesso del proprio congiunto.

In seguito al rigetto dell’istanza da parte della pubblica amministrazione la donna aveva presentato ricorso al T.A.R. Napoli (Campania) deducendo l’illegittimità del suddetto provvedimento impugnato per eccesso di potere per contraddittorietà, difetto d’istruttoria, e irragionevolezza della motivazione.

Il militare – come affermato dalla ricorrente – non svolgeva un’attività di tipo sedentario, non aveva alcuna familiarità con patologie cardiovascolari, non era obeso, non era affetto da ipertensione arteriosa, diabete, iperuricemia, iperomocisteinemia, alterazioni della coagulazione, non era fumatore e né consumatore in eccesso di alcool.

Egli era, tuttavia, quotidianamente sottoposto a disagio e stress per i viaggi di andata e ritorno, della durata di due ore per percorrere 84 km di tratto stradale montuoso ed impervio, con sbalzi di altitudine fino a 750 mt s.l.m., nonché per le condizioni climatiche invernali con abbondanti piogge, gelate e nevicate ed era, inoltre, sottoposto a gravosi turni di varia natura.

Per giurisprudenza costante, ai fini del riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio, è necessaria la prova dell’espletamento di attività lavorativa particolarmente stressante e logorante protrattosi per lungo tempo.

Si è anche detto che il giudizio del Comitato di verifica per le cause di servizio è espressione di discrezionalità tecnica e, come tale, non è sindacabile nel merito e può essere censurato per eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva (Consiglio di Stato, III, 27 gennaio 2012, n. 404; IV, 18 febbraio 2003, n. 877).

Ebbene, nel caso in esame, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, dal rapporto informativo in atti non era emerso che il coniuge avesse mai espletato prestazioni straordinariamente gravose ed eccedenti le ordinarie mansioni cui può essere adibito un militare del ruolo da questi ricoperto.

Stress, disagi e sforzi fisici …

E in ogni caso, – ha osservato il Tribunale Amministrativo “un certo coefficiente di stress e di disagio della condizione lavorativa non possono che ritenersi necessariamente immanenti allo svolgimento di mansioni in ambito militare, costituendo gli stessi un aspetto caratterizzante di tale attività, in particolare per quel che concerne le numerose e complesse attribuzioni istituzionali dell’Arma dei Carabinieri”.

A tal proposito – ha aggiunto il Tribunale campano – “non possono essere valorizzati i compiti, le mansioni e le attività svolte dal ricorrente durante il suo percorso di lavoro, quali servizi di ordine pubblico e rastrellamento del territorio, ovvero le particolari condizioni di asprezza del territorio o di rigidità climatica, perché si tratta, con ogni evidenza, di mansioni esattamente e normalmente riconducibili all’attività di servizio di un appartenente all’Arma dei C.C., specie se addetto a compiti operativi di controllo e vigilanza del territorio, o in presenza di condizioni territoriali e climatiche avverse”.

In altre parole, il T.A.R. (Sesta Sezione n. 4881/2019) ha chiarito che non basta affermare che l’attività di servizio sia stata caratterizzata dalla sottoposizione a disagi, strapazzi, stress e sforzi fisici anche prolungati perché sia riconosciuta la causa di servizio dell’infermità del congiunto, “posto che si tratta di un dato che accomuna la prestazione lavorativa di un numero rilevantissimo di soggetti, specie ove appartenenti all’Arma dei Carabinieri, per i quali, com’è noto, è richiesto il possesso di requisiti psico-fisici più elevati rispetto alla media della popolazione lavorativa. Solo i fatti di servizio connotati da eccezionalità vanno presi in considerazione e possono essere decifrati alla stregua di cause o concause determinanti ai fini della insorgenza delle patologie lamentate dal ricorrente. L’attività di servizio deve in sostanza assumere connotati eccezionali ed in un certo senso sovrastanti rispetto ad ogni altro antecedente causale facente parte dell’esistenza del soggetto”.

Inoltre se pure l’infermità addotta dalla parte attorea fosse insorta durante il servizio, ciò non avrebbe potuto costituire di per sé una prova sufficiente a giustificare la dipendenza della stessa dalle condizioni ambientali e lavorative.

Si è detto, dunque, “che per poter affermare la dipendenza da causa di servizio di un’infermità occorre fornire la prova che il sorgere della condizione morbosa, il manifestarsi della patologia, o di una menomazione della integrità psico-fisica dell’interessato sia strettamente connessa con l’attività di servizio. Tale prova può ritenersi fornita solo se si dimostra, con rigore scientifico, che l’infermità medesima sia stata prodotta in maniera determinante ed efficiente dall’attività di servizio, o che l’accidente patologico non si sarebbe presentato ove il ricorrente non si fosse trovato adibito al servizio prestato. Non è sufficiente pertanto che l’infermità si sia verificata in itinere ossia connessione cronologica con l’orario di lavoro oppure topografica ossia in ambiente di lavoro”.

Inoltre, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza, il giudizio medico – legale, recepito dall’Amministrazione, è censurabile per eccesso di potere solo quando manchi la motivazione, o quando la valutazione dei fatti risulti manifestamente irrazionale o non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da potere incidere sulla valutazione.

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, la ricorrente non aveva provato alcun profilo di illogicità o incongruenza o travisamento dei fatti da parte dell’organo accertatore, ma aveva tuttavia preteso di sostituire il giudizio tecnico impugnato con le conclusioni favorevoli del proprio medico di fiducia, intervenendo così illegittimamente in un ambito di discrezionalità riservato all’amministrazione procedente. (cfr. Cons. St., III, 15.3.2012, n. 1462; cfr. C.G.A., 12 marzo 2013, n. 333; Consiglio di Stato, IV, 7 luglio 2008, n. 3380; T.A.R. Lazio, Roma, 14 febbraio 2012, n. 1494; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 15 dicembre 2005, n. 1028).

Per tutto queste ragioni l’istanza è stata rigettata.

La redazione giuridica

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