Anche la testimonianza di una suocera ha valore pienamente probatorio nonostante la frattura tra i coniugi

La testimonianza di una suocera ha valore pienamente probatorio, nonostante la frattura tra i coniugi. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15187 del 2006, riguardante un caso di “maltrattamenti in famiglia”, reato previsto e punito dall’art. 572 del c.p.

Nel caso in questione, la Corte d’appello di Potenza aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di “maltrattamenti in famiglia”, e questi aveva proposto ricorso in Cassazione in quanto la motivazione della sentenza sarebbe stata “illogica”, poiché il giudice non avrebbe tenuto conto della “separazione di fatto” con la compagna.

Inoltre, secondo l’imputato “per quanto riguarda gli elementi descrittivi del menage familiare”, ciò che era emerso dall’unico intervento della polizia e dai due referti medici non bastava a definire quello che si viva in casa come “un clima di violenza”. Infine, la testimonianza della suocera era definita come “chiaramente di parte”.

Secondo la Cassazione, invece, la Corte d’appello aveva ritenuto assolutamente correttamente “che la proposizione di denunce a querele in relazione, dapprima a singoli episodi, e successivamente alla vicenda complessiva svoltasi nel corso del rapporto coniugale”, non costituisse di per sé “ragione di dubbio sull’attendibilità della testimonianza da lei resa”.

La sentenza, inoltre, avrebbe adeguatamente preso in considerazione “anche la questione dei conti bancari, rilevando che l’imputato li intestava alla moglie, della quale a volte falsificava anche la sua firma sugli assegni, in quanto era interdetto all’emissione dei predetti titoli”.

Secondo la Cassazione, il ricorrente muoveva solamente delle “censure in fatto, peraltro già smentite dagli accertamenti dei giudici del merito e, quindi, manifestamente infondate”.

Riguardo alla questione dell’attendibilità della testimonianza della suocera dell’imputato, la Cassazione non riteneva che tale inattendibilità potesse derivare dal solo fatto della rottura dei rapporti tra l’imputato e la figlia della teste, con la conseguenza che doveva ribadirsi il valore probatorio della stessa.

Per queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto, confermando la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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