Tabella unica nazionale per le macro-lesioni: proposta da rigettare

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contenzioso e consulenti

Quella della tabella unica nazionale per le macro-lesioni è veramente una proposta indigeribile pro-assicurazioni a scapito dei danneggiati

Finalmente ci siamo. Finalmente le tabelle “di legge” per le c.d. macro-lesioni stanno per vedere la luce. Dopo un’attesa di almeno vent’anni, iniziata con la legge 57/2001 e proseguita con il D.Lgs. 209/2005, meglio noto come “Nuovo Codice delle Assicurazioni”. Finalmente, dunque. Ma “finalmente” per chi? Chi ci guadagna? E chi ci perde? Da una attenta lettura dello schema di decreto e delle relative tabelle la risposta non può essere che una (anzi, due): ci guadagnano le compagnie di assicurazione e ci perdono i danneggiati. Si tratta dell’ennesimo regalo del nostro legislatore al comparto assicurativo. In che modo? Molto semplicemente, riducendo sia il valore del punto base (quello – per intenderci – da cui si deve partire per “monetizzare” qualsiasi menomazione) sia “lavorando” di cesello sui coefficienti moltiplicatori del danno biologico e del danno morale e sul coefficiente di riduzione per età. Ma andiamo con ordine.

Il 13 gennaio del 2021, il Ministro dello Sviluppo Economico ha avviato la consultazione pubblica sullo schema di D.p.r. contenente la tabella unica nazionale per il risarcimento delle cosiddette macro-lesioni (comprese tra 10 e 100 punti di invalidità).

In base alla bozza di decreto in esame, il decreto stesso viene emanato ai sensi dell’articolo 138 del nuovo codice delle assicurazioni sia per quanto concerne il risarcimento del danno non patrimoniale delle lesioni di non lieve entità (derivanti da sinistro conseguente alla circolazione di veicoli a motore e di natanti) sia per quanto concerne il danno conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria e il danno conseguente all’attività delle strutture sanitare e sociosanitarie pubbliche e private.

Le note introduttive e la tabella di cui al comma 1, lettera a) sono riportate negli allegati I e II, mentre le note introduttive e la tabella di cui al comma 1, lettera b) sono riportate nell’allegato III. Quindi, sostanzialmente, il decreto de quo prevede da un lato una tabella contenente i baremes, cioè i parametri medico-legali (in forza dei quali vengono “sintetizzate” in una precisa percentuale le varie menomazioni), dall’altro una tabella relativa al valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità. Il tutto, ovviamente, con riferimento alle sole menomazioni dal 10 per cento al 100 per cento.

Per quanto riguarda la tabella dei baremes, l’uso deve essere riservato ovviamente a medici specialisti in medicina legale ovvero, in mancanza, a medici di comprovata esperienza medico-legale.

La ratio è quella di perseguire la massima omogeneità scientifica e la riproducibilità del giudizio valutativo a parità di diagnosi dell’infermità e delle menomazioni conseguenti. Per quanto concerne i criteri applicativi, il danno alla persona in ambito di responsabilità civile (così come delineato dalla giurisprudenza degli ultimi lustri e anche dai contributi della dottrina e dei vari provvedimenti legislativi) si basa sul concetto di danno biologico.

La definizione è quella ormai tradizionale e mandata a memoria da almeno un paio di generazioni di giuristi: il danno biologico consiste nella menomazione temporanea o permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività ordinarie comuni a tutti (e sui peculiari aspetti dinamico-relazionali), indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito.

In questo concetto troviamo le categorie del danno biologico, nella doppia componente “statica” e dinamico-relazionale ovvero “funzionale”. Nelle note introduttive alla tabella delle menomazioni di cui alla bozza di decreto in esame è sottolineato che il danno biologico comprende anche l’eventuale incidenza rilevante della menomazione su specifici aspetti dinamico-relazionali personali. Tale valutazione non deve essere espressa percentualmente, ma (quando necessario) deve essere piuttosto formulata attraverso indicazioni aggiuntive e un motivato apprezzamento, da parte del medico valutatore, delle condizioni soggettive del danneggiato. Con tale ultima dicitura, si fa riferimento, a tutti gli effetti, alla componente della cosiddetta “personalizzazione”, ovvero alla dimensione prettamente esistenziale del danno alla persona. Essa, come noto, è attualmente valorizzata dalle tabelle milanesi attraverso un aumento ponderale (con percentuali di diverso importo in ragione delle fasce d’età e dei gradi di invalidità) dell’importo liquidabile per il danno non patrimoniale (biologico permanente e morale). Da riconoscersi, peraltro, solo in presenza della adeguata e fondata dimostrazione dell’esistenza di specifiche ripercussioni sul piano personale, attinenti al caso concreto e tali da distinguere la singola e specifica vicenda esaminata dalla ordinaria situazione di normalità comune a qualsiasi persona.

Ricordiamo, in proposito, che la legge 124 del 2017 (la cosiddetta legge “concorrenza”) ha innovato l’articolo 138 del Nuovo Codice delle Assicurazioni relativo alle macro-lesioni prevedendo espressamente che la componente della personalizzazione riguardante questi “specifici” aspetti dinamico relazionali del soggetto leso possa essere valorizzata dal Giudice attraverso l’aumento percentuale fino ad un massimo del trenta per cento:  “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento”. A differenza – ci sia consentito aggiungere – delle tabelle di Milano che, per la medesima voce risarcitoria, prevedono la possibilità di aumento fino al 50 per cento.

Come volevasi dimostrare, la strategia di ridurre, per via normativa, i diritti “acquisiti” dai danneggiati per via giurisprudenziale era già in atto da un pezzo.

Torniamo ora alla tabella dei baremes medico-legali: essa comprende – per ogni distretto anatomico e per ogni sistema organico-funzionale – sia la elaborazione di voci relative alla compromissione dei parametri indicativi della piena funzionalità sia la descrizione delle alterazioni anatomiche e funzionali con la illustrazione delle specifiche condizioni cliniche.

I criteri adottati sono di due tipi: in alcuni casi viene impiegato il “numero unico”, in altri casi, invece, un intervallo di valori. Il numero unico è stato adottato per le voci indicanti una lesione anatomica e una condizione funzionale. Fermo restando che lo stesso valore deve essere modificato con criteri analogici qualora la menomazione involga un quadro clinico funzionale più grave o comunque diverso oppure quando ricorrano le evenienze previste dallo stesso decreto.

Ad altre voci corrispondono, invece, fasce valutative rapportate alle possibili varianti anatomo-funzionali proprie di quella particolare fattispecie: in questo caso, le indicazioni sono fornite con un intervallo di valori che si riferiscono a menomazioni responsabili di un danno permanente. Le ripercussioni sulla persona possono, però, oscillare fra un “minimo” e un “massimo” a seconda delle caratteristiche del quadro clinico e laboratoristico-strumentale a cui la menomazione è correlata.

Le note introduttive dei parametri in questione prevedono anche il caso delle menomazioni “plurime”: esse ricorrono qualora gli esiti permanenti di un’unica lesione possono essere rappresentati da più voci tabellate. Ovvero, nel caso in cui ci si trovi di fronte a un danno permanente da menomazioni concernenti più sistemi organo-funzionali. In tali fattispecie, si deve procedere alla valutazione non attraverso una semplice sommatoria delle percentuali previste, ma piuttosto tramite una valutazione complessiva. Essa avrà come riferimento l’inquadramento tabellare dei singoli danni e la globale incidenza sull’integrità psicofisica della persona.

Le note introduttive si occupano pure delle menomazioni “preesistenti”: nel caso in cui la menomazione interessi organi e apparati già a loro volta sede, in passato, di patologie pregresse, le indicazioni date dalla tabella andranno rivalutate. In particolare, ciò accadrà quando il concorso tra le menomazioni subite dalla vittima per effetto delle lesioni e le preesistenze aumenta il danno da lesione rispetto ai valori medi. Per fare un esempio, il valore tabellato della perdita di un occhio andrà maggiorato nel caso in cui la lesione affligga un soggetto “monocolo” oppure già sofferente di alterazioni oculo visive. Nel caso in cui, poi, quella menomazione non trovi piena corrispondenza con le voci previste dalla tabella si dovrà supplire con il criterio della analogia e della equivalenza.

Veniamo ora a parlare dell’allegato III allo schema di decreto (dedicato alla tabella dei valori economici per macroinvalidità). Innanzitutto, ivi si precisa che il risarcimento a titolo di danno non patrimoniale si basa sulla determinazione del valore pecuniario da attribuirsi ad ogni singolo punto di invalidità. Comprensivo, quest’ultimo, dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale come “consolidati” in giurisprudenza.

Gli aspetti considerati sono sostanzialmente quattro:

a) in primo luogo, i valori economici delle singole unità dovranno essere determinati con il sistema del punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità;

b) in secondo luogo, il valore economico del punto deve essere crescente rispetto alla percentuale di invalidità con una incidenza più che proporzionale rispetto all’aumentare percentuale assegnato ai postumi (si parla, in questo senso, di moltiplicatore biologico del valore del punto base);

c) in terzo luogo, il valore economico del punto deve essere decrescente rispetto all’età del soggetto sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’Istat con un tasso di rivalutazione pari all’interesse legale (si parla, a questo proposito, di demoltiplicatore demografico del valore del punto base);

d) in quarto luogo – onde consentire una adeguata valorizzazione della componente del danno morale richiesto ai fini della personalizzazione complessiva della liquidazione – la componente di danno biologico deve essere incrementata in via percentuale e progressiva per punto.

Va subito osservato (come detto in apertura) che la preannunciata “novità” è pregiudizievole per i danneggiati e molto “interessante” invece per le compagnie di assicurazione. Innanzitutto perché, come appare ictu oculi, il valore del punto base non è quello previsto oggi dalle tabelle milanesi (circa 1.182 euro). Parliamo ovviamente del “punto base” inteso come quel valore monetario corrispondente a un punto percentuale di danno biologico di un soggetto ad età zero. Ebbene, gli autori dello schema ministeriale, come espressamente viene riportato, prendono come riferimento il valore del primo punto di invalidità (sempre all’età zero) previsto dall’articolo 139 comma primo lettera A) del Codice delle assicurazioni private, come attualmente in vigore a seguito dell’aggiornamento dell’aprile 2019, pari ad euro 814,27. Quindi, possiamo dire che si parte già male, ma c’è di più (anzi di “meno”) e di peggio. Prima di spiegare le ragioni del nostro approccio così severamente critico, dobbiamo però dar conto delle tre “tavole” relative ai coefficienti:

1) coefficiente moltiplicatore biologico del punto;

2) coefficiente moltiplicatore per danno morale;

3) coefficiente di riduzione per l’età.

1) Il coefficiente moltiplicatore biologico parte da 2,473 (I.P del 10%) e cresce secondo il criterio sopra menzionato, ossia in via progressiva – quindi teoricamente più che proporzionale (ma in realtà, così non è – rispetto al crescere della percentuale dei postumi riportati dal danneggiato – sino al coefficiente massimo di 11,019 (I.P. del 100%).

Dobbiamo immediatamente formulare forti considerazioni critiche a tale coefficiente che, nonostante le affermazioni di principio dichiarate nella Relazione Illustrativa (redatta dal Ministero dello Sviluppo Economico ed allegata allo schema di DPR) porta a valori unitari di danno biologico inferiori a quelli della attuale Tabella di Milano quantomeno per la quasi totalità dei gradi di IP (salvo quelli pari o superiori al 79%).

Alla pag. 5 della Relazione si legge: “Si è imposto che i risarcimenti corrispondano all’importo totale pagabile – per il solo danno biologico – secondo la tabella di Milano per tutti i gradi di invalidità per il primo anno di età”. E ivi si mena vanto pure del fatto che il valore economico del punto così ottenuto è “maggiore di quello disposto da Milano su tutti i gradi di invalidità…”.

Ma questo è drammaticamente sconfessato dalla matematica e corrisponde al vero solo se, come vediamo nell’esempio sotto riportato, si considerano i valori delle tabelle milanesi di molto tempo addietro, addirittura risalenti al 2009 od agli anni precedenti. Rispetto a quella attuale (emanata nel 2018) i valori di base del biologico ricavati dall’applicazione del moltiplicatore sono ben inferiori, almeno fino al punto di IP del 78%.

Valga l’esempio del grado di IP del 10% che, per lo schema di DPR, corrisponde a 2.013,00 euro (814,27 euro X 2,473) superiore al valore della tabella 2009 (2.003,00 euro ), ma non a quella attuale (2.217,01 euro ) con un minor importo del 10 % circa.

A risultato analogo si arriva con IP del 60% con importo pari a 6.756,00 euro (814,27 euro X 8,298) superiore a 6.432,00 euro (tab. 2009) ma non a quello della tabella attuale di 7.116,27 euro con un disavanzo, ancora una volta a carico del danneggiato, del 6% circa.

2) Quanto alla determinazione del “moltiplicatore” del danno morale: lo schema di tabella unica nazionale indica separatamente la componente del danno morale e quella del danno biologico, al fine di tener conto della più recente giurisprudenza di legittimità espressasi in argomento. Viene specificato, nelle note integrative, che il danno morale rappresenta una percentuale del danno biologico ottenuta attraverso un moltiplicatore in aumento rispetto a quest’ultimo: essa cresce all’aumentare di ogni punto di invalidità tenuto conto di quanto previsto dalle tabelle sulle invalidità applicate nei distretti giudiziari di Milano Roma. Però, anziché prevedere incrementi economici ancorati a scaglioni di gradi di invalidità permanente, la tabella, prevista dallo schema di decreto in esame, attribuisce distinti incrementi risarcitori per ciascun grado d’invalidità. La “tavola” acclusa alla bozza di decreto prevede delle fasce di oscillazione per ciascun punto di invalidità con un coefficiente moltiplicatore (per ciascun singolo punto di biologico, dal 10 al 100) che può oscillare da un “minimo” a un “medio” a un “massimo”. Il combinato disposto di questa “nuova” previsione normativa con l’orientamento palesato dalla giurisprudenza più recente (a cui fa espresso richiamo la nota descrittiva) determina un profondo cambiamento di “modello”, di “sistema” (di “paradigma” addirittura) rispetto al format del danno morale così come “pensato” dalle tabelle milanesi.

Infatti, nel caso delle tabelle di Milano, il danno morale è sostanzialmente “incorporato” all’interno del danno biologico e viene riconosciuto, per così dire, “di default” in applicazione di una semplice “operazione di incrocio” tra l’età della vittima e la percentuale della sua menomazione. Sia in fase stragiudiziale sia nelle liquidazioni dei danni effettuate dai giudici in sentenza la somma di denaro “restituita” dalle note matrici di calcolo meneghine viene, da sempre, riconosciuta al danneggiato “in automatico”. Benchè sia vero che una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (nr. 25164 del 10.11.2020) ha avuto modo di “bacchettare” le tabelle di Milano proprio nella misura in cui esse prevedono un riconoscimento “meccanico” della sofferenza morale. Tuttavia, aldilà delle enunciazioni di principio, chiunque “pratichi” la materia sa che, fino ad oggi, in sede di liquidazione non sono mai state sollevate soverchie problematiche intorno al quantum della sofferenza morale. Anche perché la stessa giurisprudenza di legittimità ha, a più riprese, richiamato all’uso delle presunzioni quale prova “ideale” della sofferenza interiore. Si potrebbe quasi sostenere che, per effetto del modello rappresentato dalle tabelle di Milano, il ristoro del danno morale fosse diventata una piacevole, ricorrente e innegabile (perché mai negata) “consuetudine” per qualsiasi patrocinatore di una vittima di sinistro. Il “morale” c’era, per definizione, proprio in quanto “consustanziale” al danno biologico. Al punto da far dimenticare (a volte), agli operatori del settore, che in realtà, nella liquidazione ottenuta e sbrigativamente denominata “danno biologico permanente”, era già compresa, appunto per una sorta di “buona” prassi, anche la sofferenza morale. Certo, ciò implicava – in forza di una specie di “clichè” ermeneutico ereditato dalle arcinote sentenze della Cassazione di San Martino del 2008 – che non si potesse più incrementare di una ulteriore percentuale il valore monetario della menomazione (estrapolato dalle tabelle milanesi) al fine di ottenere il danno morale (come, invece, avveniva in precedenza e come continua ad avvenire ancor oggi per le micro-lesioni in forza della previsione dell’art. 139 del D. Lgs. 209/2005). Cionondimeno, se non altro, la componente morale era diventata, lo ribadiamo, una rassicurante e confortevole “presenza” nell’alveo del danno non patrimoniale latamente inteso che nessuno si sognava di mettere in discussione, o addirittura di negare, e tantomeno di “sezionare” in un “minimo”, un “medio” e un “massimo”.

Ebbene, se davvero diventerà operativo lo schema di decreto in oggetto, potremo dire addio al “vecchio sistema”. In ossequio alle previsioni del nuovo “schema”, i danneggiati e i loro patrocinatori non solo il danno morale dovranno “sudarselo” (fornendone la “diabolica” prova), ma si vedranno con grande probabilità, e fin da subito, proporre nella migliore delle ipotesi dei risarcimenti con un ristoro a titolo di “morale” ridotto ai minimi (e “legalissimi”) termini. Quindi, vedrete come sin da principio la prassi dei liquidatori sarà quella di “assestarsi” sul “minimo della pena” (cioè dell’esborso, per loro) che è poi, appunto, il minimo sindacale della soddisfazione per i danneggiati. Così come già è accaduto per le “mitologiche” forchette (sempre di matrice “meneghina”) previste per il ristoro dei danni riflessi a favore dei prossimi congiunti di soggetto deceduto o macroleso, si tenderà a derubricare subito alla stregua di “eccezioni” (riservate a “casi straordinari”) le liquidazioni di un danno morale secondo i valori massimi previsti dalla tavola 1 dell’allegato 3.

3) Quanto, infine, alla terza tavola (quella del coefficiente di riduzione per l’età) essa va da 1 a 100 anni con coefficiente di riduzione che si comprime in misura progressiva da 1 a 0,526, sostanzialmente ricalcando, pressoché in toto, i coefficienti adottati dalla tabella milanese.

Spazio, adesso, agli esempi: per calcolare il risarcimento dovuto a un soggetto di 35 anni con invalidità del 50 per cento dovremo prendere come punto base quello previsto per l’età zero (ovvero 814,27 euro) e incrementarlo con il coefficiente moltiplicatore del danno biologico per 50 punti (che è pari a 7,371) ottenendo così il valore effettivo del singolo punto (per quell’individuo cinquantenne) che sarà pari a 6.001,98 euro. Su tale valore, calcoleremo il danno morale che sarà ottenuto moltiplicando 6.001,98 per il coefficiente moltiplicatore del danno morale (da 1,403 a 1,503). Supponiamo di prediligere la via intermedia di 1,453. Avremo, così, un “valore punto” (con morale intermedio) di 8.720,88 euro che – moltiplicato per 50 (punti di invalidità) e per il coefficiente di riduzione per età (a 35 anni è pari a 0,833) – assomma, per il complessivo pregiudizio non patrimoniale della vittima, a 363.224,65 euro anziché a 391.025,00 euro come attualmente previsto dalla tabella milanese (con riduzione effettiva del 7,5 per cento circa).

Ma possiamo fare anche altri esempi per renderci conto che, con questi nuovi criteri, si va incontro a una sostanziale “deminutio” (rispetto ai valori delle tabelle milanesi) del ristoro (a titolo di danno non patrimoniale) dei postumi permanenti e temporanei e del danno morale per le menomazioni di entità meno rilevante (grossomodo, per quelle fino all’85 per cento). E ciò avviene persino applicando il coefficiente massimo previsto per il danno morale. Per contro, il valore dei risarcimenti supera quello delle tabelle milanesi (anche applicando il morale ai nuovi “minimi”) solo per le menomazioni più gravi.

Se vogliamo riassumere il tutto, possiamo citare lo studio pubblicato su “Guida al Diritto” de IlSole24Ore a firma Hazan, Rodolfi, Taurini ove si conclude che: 1) dal 13 al 25% di invalidità il valore del risarcimento calcolato con la tabella unica è superiore al valore del danno non patrimoniale delle tabelle milanesi solo con il morale calcolato sui massimi; 2) dal 30 al 70% di invalidità il valore del risarcimento calcolato con la tabella unica è inferiore al valore del danno non patrimoniale delle tabelle milanesi anche con il morale calcolato sui massimi; 3) dall’85% di invalidità il valore del risarcimento calcolato con la tabella unica è superiore al valore del danno non patrimoniale delle tabelle milanesi anche con il morale calcolato sui minimi.

In materia, si è pronunciato anche il Consiglio Nazionale dei consumatori e degli utenti elaborando una serie di simulazioni (per danneggiati di 10, 30, 50 e 70 anni) con i valori del nuovo schema di decreto dai quali è emerso come – fino ai novanta punti di invalidità – vi siano delle riduzioni dei risarcimenti medi che arrivano fino al -12,7 per cento.

Per avviarci a concludere, la tabella unica nazionale è migliorativa rispetto alle tabelle milanesi solo per una ristretta categoria di eventi infortunistici: e cioè quella degli incidenti più gravi, delle lesioni davvero “macro”. Tutti gli altri sinistri, e tutti gli altri danneggiati conseguentemente, escono con le “ossa rotte” (e i diritti “sforbiciati”) da una accuratissima operazione con un valore tutt’altro che meramente “cosmetico” come taluni vorrebbero far credere, minimizzando l’impatto della riforma.

In definitiva, il “danno” è servito! A “danno” di chi? Ovviamente del povero danneggiato il quale si ritrova, all’esito della “riforma” prossima ventura, nell’ordine:

A) con un valore punto base nettamente diminuito;

B) con un valore punto biologico (frutto della moltiplicazione di 814,27 per i nuovi coefficienti) vantato quale superiore alle tabelle milanesi, ma in realtà maggiore solo rispetto a quelle del 2009 e non a quelle attuali!;

C) con un danno morale non più risarcito in via presuntiva, come prima, ma “scorporato” e da (obbligatoriamente) dimostrare;

D) con un danno morale scaglionato in tre fasce: minimo, medio, massimo e con, per soprammercato, la certezza di vederselo “offerto”, in sede stragiudiziale, o liquidato, in ambito giudiziale, nella migliore delle ipotesi secondo i valori medi e, nella peggiore, secondo i valori minimi.

È appena poi il caso di ricordare che, ove tali differenze risarcitorie non dovessero essere colmate, la tabella milanese non potrà essere abbandonata posto che la giurisprudenza di legittimità, avvalorata dallo stesso Giudice delle Leggi, ha ritenuto legittimo il “duplice binario” risarcitorio per le cd. “micropermanenti”: quello appunto con importi ridotti previsti dalla tabella di legge (ex art. 139 C. Ass.) per gli illeciti derivanti da circolazione stradale e/o da “malasanità” non estensibile analogicamente agli altri fatti illeciti. Per i quali, quindi, al pari delle micropermanenti, dovranno inevitabilmente continuare ad applicarsi i valori ed i criteri risarcitori della tabella milanese, con buona pace del principio di eguaglianza anche tra i “macro-danneggiati”.

Un’ultima considerazione: la gran parte dei danni, come noto, si colloca nella fascia fino al 70/80 per cento.

Guarda caso, quella per la quale la tabella di legge prevede valori sensibilmente inferiori a quelli milanesi. Per contro, solo la fascia più alta della tabella unica nazionale (cioè quella che comprende il minor numero di casi) ha valori più elevati rispetto tabelle milanesi. Rammentiamo in proposito che, secondo i dati ANIA, i risarcimenti per invalidità superiori al 9 per cento e mortali “cubano” circa 4,5 miliardi di euro l’anno. Ebbene, aumentare il valore punto (come fa la nuova tabella unica nazionale rispetto a quella milanese) solo per tutte le lesioni sopra i novanta punti di invalidità e ridurlo per tutte le lesioni sotto i novanta punti significa una cosa sola, per le casse delle grandi corporation del ramo: RISPARMIO. Un risparmio quotato da un minimo di 500 milioni a un massimo di 800 milioni, sempre secondo il Consiglio Nazionale dei consumatori e degli utenti.

Prima di passare alle “proposte” ci sia consentito mettere in fila le autentiche “perle” inanellate nella relazione illustrative allo schema di decreto, talune così “sorprendenti” da far sospettare che il testo sia stato redatto in epoche diverse e da mani non precisamente avvezze a “maneggiare” la materia in questione:

A) vi si legge di una “bipartizione del danno non patrimoniale nelle due componenti del danno biologico (inteso come lesione della integrità fisica) e del danno morale (inteso come danno psichico e dinamico-relazionale)”: errrore da matita blu visto che il danno psichico (non semplicemente psicologico) e quello dinamico-relazionale rientrano da sempre nella categoria del danno biologico inteso come compromissione della integrità psico-fisica di un soggetto nelle sue componenti statica e dinamico-relazionale;

B) vi si legge che “si è imposto che i risarcimenti corrispondano all’importo totale pagabile – per il solo danno biologico – secondo la tabella di Milano per tutti i gradi di invalidità per il primo anno di età” e che “in tal modo, il valore economico del punto ottenuto nel modello proposto è maggiore di quello disposto da Milano su tutti i gradi di invalidità, e la differenza risulta essere sempre più rilevante al crescere della gravità del danno subito”. Il che è semplicemente falso o, meglio, parzialmente vero: come già visto, i valori ottenuti sono superiori a quelli delle tabelle di Milano del 2009, ma inferiori a quelli delle tabelle di Milano 2018!;

C) vi si legge che “L’analisi statistica evidenzia che il modello proposto dalle Tabelle del Tribunale di Milano conduce a risultati simili a quello sotteso allo schema di regolamento governativo (i valori liquidati secondo le tabelle milanesi appaiono poco più alti di quelli regolamentari)”. Il che è vero, ma è anche in contraddizione palese con quanto affermato in precedenza dalla stessa relazione ed evidenziato sub punto B. L’unica spiegazione è che le due frasi siano state scritte in periodi diversi da soggetti diversi;

D) Vi si legge, infine, che “l’apparente distanza, invece, dei risarcimenti prodotti dal modello regolamentare (più bassi) rispetto al liquidato totale del mercato verrebbe potenzialmente colmato dalla personalizzazione del giudice (nel valore massimo del 30 per cento, ai sensi dell’art.138 del CAP, comma 3)”. Il che costituisce, nella migliore delle ipotesi, una raffinata presa in giro. Infatti, qualsiasi giurista, esperto in materia, sa che il 30 per cento “supplementare” di cui alla prefata norma è riconosciuto solo in casi “eccezionali”.

Tuttavia, una piccola speranza c’è ancora visto che, appunto, stiamo parlando di uno “schema” di decreto. Due buone idee (per riequilibrare la partita) potrebbero essere le seguenti:

1) prendere a riferimento – davvero e fino in fondo – le tabelle milanesi del 2018. Quindi, innanzitutto, un punto base di 1.281 euro;

2) inserire come valore medio del morale quello attuale delle tabelle milanesi, se davvero si vuol mantenere la logica (avallata dalla Cassazione) dello “scorporo” del morale dal biologico e della sua suddivisione in fasce.

Se ciò non dovesse accadere, potremo (dovremo) amaramente concludere che, more solito, ne uscirà vincitrice la parte “forte”. Del resto, in nessun settore quanto nel comparto del risarcimento danni e della infortunistica stradale è valso (finora e purtroppo) l’antico adagio di Tucidide: “I forti fanno ciò che devono fare, e i deboli accettano ciò che devono accettare”.

Avv. Francesco Carraro

Avv. Luca Marchetto

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