Respinto il ricorso di un automobilista, tamponato da un furgone, che chiedeva di essere risarcito per le lesioni riportate in seguito al sinistro

Con l’ordinanza n. 4799/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un automobilista, tamponato da un furgone, che aveva convenuto in giudizio la società proprietaria e la compagnia assicurativa del mezzo antagonista al fine di vederli condannare al risarcimento dei danni riportati in conseguenza di un sinistro stradale.

Espletata la consulenza tecnica ed escussi i testi, il Tribunale aveva rigettato la domanda di parte con condanna alle spese di lite sul presupposto che la dinamica del sinistro non fosse stata sufficientemente provata e ciò anche alla luce delle dichiarazioni generiche e contradditorie rese dai testimoni.

In appello l’attore deduceva l’errata valutazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, il fatto che non fosse stato considerato il modulo C.A.I., sottoscritto da entrambi i conducenti dei veicoli, con il quale la controparte assumeva la piena responsabilità dell’accaduto.

La Corte territoriale, tuttavia, confermava la sentenza del Tribunale, ritenendo che, pur volendo considerare il verbale di constatazione amichevole, comunque non sarebbe stato di per sé sufficiente a fornire prova del fatto, poiché esso aveva valore meramente indiziati() e doveva essere valutato insieme con le altre risultanze istruttorie. Nel caso di specie, non trovando conferma né conforto nelle dichiarazioni rese dai testi, ad esso non poteva riconoscersi alcuna rilevanza.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il danneggiato contestava al Giudice di secondo grado di aver rigettato la domanda di parte pur in presenza del modulo di constatazione amichevole con il quale la società assumeva piena responsabilità del sinistro dovendosi, per orientamento della Suprema Corte attribuire allo stesso valore di confessione stragiudiziale.

I Giudici Ermellini hanno però considerato il ricorso inammissibile per violazione dell’art 366 co. 6 c.p.c.. La doglianza, infatti, si fondava essenzialmente sull’insufficiente valutazione delle risultanze istruttorie ed in particolare del modello C.A.I. ma il ricorrente non allegava detto documento al ricorso e neppure indicava con precisione dove esso si sarebbe trovato nel contesto delle sue produzioni.

Il ricorrente – hanno sottolineato dal Palazzaccio – “deve consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame del fascicolo d’ufficio o di parte, non potendosi affidare al giudice il compito di svolgere un’attività di ricerca negli atti”.

Il motivo, nel caso in esame, era quindi da ritenersi inammissibile, in quanto la sua illustrazione si fondava su documenti e atti processuali, ma non osservava nessuno dei contenuti dell’indicazione specifica prescritta dall’art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto: a) non ne trascriveva direttamente il contenuto per la parte che avrebbe dovuto sorreggere la censura, né, come sarebbe stato possibile in alternativa, lo riproduceva indirettamente indicando la parte del documento o dell’atto, in cui avrebbe trovato rispondenza l’indiretta riproduzione; b) non indicava la sede nel giudizio di merito in cui il documento venne prodotto o l’atto ebbe a formarsi; t) non indicava la sede in cui nel giudizio di legittimità il documento, in quanto prodotto (ai diversi effetti dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c.), se nella disponibilità, sarebbe stato esaminabile dalla Corte; d) non indicava la sede in cui l’atto processuale sarebbe stato esaminabile nel di legittimità, in quanto non precisava di averlo prodotto in originale o in copia e nemmeno faceva riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio.

La redazione giuridica

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