Intervista a Gabriella Fabbrocini, professore associato in dermatologia e venereologia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

Dopo aver affrontato l’attuale panorama in merito al mondo dei tatuaggi, spesso privo di una legiferazione precisa in merito, Responsabile Civile si è rivolto a un esperto per capire meglio quali sono i miti da sfatare rispetto a una procedura sempre più diffusa e in modo trasversale alla società.

Abbiamo chiesto alla dottoressa Gabriella Fabbrocini, professore associato in dermatologia e venereologia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, di spiegare quali sono i rischi che si corrono quando si decide di fare un tatuaggio.

G.F. Circa i tatuaggi non credo ci sia un’infezione più diffusa legata proprio alla metodica dei tatuaggi. Come tutte le procedure invasive, dove c’è dunque la necessità di perforare la cute e creare una perdita di sostanza, sono procedure che devono essere soggette a norme di sterilità, fatte in ambienti idonei, con ferri monouso, detergenti antisettici e antibatterici ad ampio spettro, detersione della parte e un“care” nel post intervento che eviti sia le comuni infezioni come quelle procurate dallo stafilococco – un batterio che sta sulla nostra pelle e che si attiva quando non ci sono queste condizioni di sterilità – sia infezioni più complicate come possono essere micosi superficiali e profonde quando il quadro si complica e c’è una grossa infiammazione. Un’infezione non trattata innesca un circolo vizioso, ma non c’è un’infezione legata alla metodica del tatuaggio né tantomeno patologie della pelle legate ad esso. Se si tengono le norme di sterilità quando si dà insulto alla cute non ci sono rischi particolari. Non si può usare lo stesso ago da un paziente all’altro, non si può fare un tatuaggio a mani libere senza i guanti, non si può stare in ambienti polverosi e sporchi.  Anche il discorso della trasmissione dell’epatite per esempio riguarda tutte le procedure  “invasive” che presuppongono l’introduzione di sostanze attraverso la perforazione e riguardano la strumentazione. La parte interessata va quindi trattata come una ferita. Si tratta di una cute esposta priva del normale tappeto protettivo in quanto non integra.

Se da una parte non ci sono particolari rischi nell’esecuzione dei tatuaggi seguendo le norme sopracitate, molto più complicati sono i granulomi reattivi, che rappresentano il vero problema dei tatuaggi, anche a distanza di tempo.  Il pigmento che noi andiamo a mettere, se il soggetto ha una sensibilità spiccata verso quel componente o se la procedura non viene eseguita nella maniera corretta, può far sviluppare un granuloma da corpo estraneo. Il soggetto vede che questo pigmento non viene riconosciuto come pigmento naturale e crea una reazione granulomatosa. Si presenta come un nodulo di grandezza variabile, bombato – come se ci fosse qualcosa sotto perché è la pelle che si infiamma e si organizza e crea appunto il granuloma che è l’accumulo di cellule infiammatorie. Questo è il problema più frequente che io vedo legato ai tatuaggi nella mia pratica clinica. Certe volte queste lesioni possono regredire spontaneamente, altre volte vanno asportate chirurgicamente mediante un intervento che viene eseguito in day hospital.

Dottoressa quanta informazione in merito c’è e cosa secondo lei andrebbe maggiormente sottolineato?

G. F. L’informazione che c’è è bassissima anche se ora rispetto a dieci anni fa è aumentata, ma siamo lo stesso a un livello basso. Sicuramente i tatuatori sono più specializzati, sono diminuiti quelli che si improvvisano, ci sono canoni di sterilità maggiori, forse il paziente andrebbe maggiormente informato sul fatto che il tatuaggio è veramente permanente e che ci possono essere questi rischi di granuloma anche a distanza di 5, 6 o 7 anni. Troppo spesso vedo pazienti che hanno fatto il granuloma a 16 anni e a 30 sono disperati perché su queste lesioni si sono formati altri granulomi. Una volta mi è capitato il caso di un paziente con tatuato un fiore al cui al centro si era formato un granuloma così reattivo che abbiamo dovuto fare una scissione e a sua volta era talmente ampia che non riuscivamo a chiuderla e siamo stati costretti a fare un lembo di rotazione, prendere cioè un pezzo di pelle da un’altra parte del corpo e metterlo là. E’ bene ricordare che il tatuaggio arriva alla profondità del derma ma può anche migrare, cioè si può spostare, di poco, per via della fagocitosi, lo smaltimento del colore. Noi siamo un corpo dinamico dunque soggetto al mutamento.

Si parla di laser per la rimozione, una pratica sempre più richiesta. Quanto sono efficaci?

G. F. Non è detto che esistano delle metodiche certe che possano rimuovere il tatuaggio. Esistono dei laser che possono giovare all’eliminazione di alcuni tatuaggi. Però solo alcuni tipi. Quelli neri e quelli marroni vengono tolti con difficoltà. Quelli rossi invece vengono colpiti con maggiore facilità da un laser che riesce ad assorbire il colore, così come quelli di color verde. Quelli scuri difficilmente riescono a essere eliminati. Esistono dei tentativi di macchinette che tolgono dei tatuaggi ma per ora ancora non c’è nulla che veramente funzioni. È molto difficile toglierli e ribadisco che è bene che questo si sappia. Sono sempre di più le persone che scelgono di togliere il tatuaggio ma molto spesso rimangono insoddisfatte. La procedura di rimozione crea delle cicatrici, il tatuaggio non si toglie in maniera omogenea e quindi rimane un’ombra. Esteticamente dunque non è soddisfacente. Il laser si fa in più applicazioni, è molto costoso, non sempre dà risultati e per quanto riguarda il follow up dipende dalla grandezza del tatuaggio, dal tipo di colore, dalla risposta al trattamento, non c’è una cosa codificata. Va comunque trattata come una lesione della pelle con tutti gli accorgimenti previsti. Tempo fa era uscita una tecnologia che prevedeva l’iniezione di un depigmentante all’interno del tatuaggio. Una tecnologia bulgara che ci avevano presentato ma poi non ne ho sentito più parlare dunque credo non abbia avuto grande successo. Una sorta di penna da passare sul tatuaggio e che rilascia un depigmentante che si mangerebbe il colore. Tuttavia anche se le tecniche odierne sono migliorate e risultano meno dolorose non esiste una tecnologia efficace al 100% e dunque è bene considerare il tatuaggio come permanente e dunque per il momento una scelta di vita.

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2 Commenti

  1. Salve, volevo il parere di un esperto per una domanda forse stupida ma la cui risposta chiarirebbe un mio dubbio: se il tatuaggio guarisce correttamente, senza dare sintomi di alcuna infezione (dolore, gonfiore, pus, febbre ecc.), vuol dire che tutto è stato eseguito secondo le norme igieniche? E che se non ci sono manifestazioni di infezioni locale vuol dire che non è avvenuta alcun tipo di infezione, anche quelle non locali giusto?

    Grazie per l’attenzione
    Maria

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