La difettosa tenuta della cartella clinica ospedaliera non pregiudica sul piano probatorio il paziente che può ricorrere anche a presunzioni
Sulla tematica della incompletezza della cartella clinica si è nuovamente pronunziata la Suprema Corte che ha espresso il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente” (Cassazione Civile, sez. III, , ordinanza n. 4424/21 del 18 febbraio 2021).
I genitori del bambino citavano a giudizio dinanzi il Tribunale di Napoli la ASL, il Medico ginecologo e l’Ostetrica, onde ottenerne la condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla tetraparesi spastica riportata dal nascituro alla nascita.
Deducevano che, in sala parto l’équipe medica decideva di procedere, in presenza di una difficoltà a partorire, all’estrazione del nascituro mediante ventosa, non operando alcuna scelta alternativa meno rischiosa per la madre e il bambino.
Il Tribunale dichiarava la responsabilità dell’ASL e del Medico, condannandoli in via solidale al risarcimento dei danni.
Avverso la sentenza di primo grado la ASL proponeva appello e il Medico appello incidentale.
La Corte di Appello di Napoli – ritenendo che le parti convenute non erano state in grado di offrire la prova liberatoria, di cui all’art. 1218 c.c., che l’esito peggiorativo o infausto del parto fosse stato determinato da un evento imprevedibile ed inevitabile alla fine del periodo espulsivo-, rigettava le impugnazioni proposte, confermava la sentenza del Tribunale in merito alla condanna al risarcimento dei danni e condannava la ASL e il Medico alla rifusione delle spese di lite d’appello, in via solidale tra loro.
Il Medico propone ricorso per Cassazione e resistono con separati controricorsi i genitori del bambino e l’Ostetrica, mentre la Asl propone controricorso con ricorso incidentale tardivo.
Gli Ermellini ritengono che il Giudice territoriale ha adeguatamente applicato il principio di diritto secondo il quale “è onere del creditore della prestazione sanitaria provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità tra l’aggravamento o l’insorgenza della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare la causa imprevedibile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione”.
La Corte d’Appello ha rilevato la mancanza di indicazione degli interventi effettuati nella fase finale del parto, e ciò ha condotto a ritenere provato il collegamento causale tra fatto e danno.
Difatti, nella cartella clinica non risultavano annotate le attività medico-sanitarie espletate nella fase ultima del parto.
Inoltre, dalla testimonianza resa da un operatore sanitario presente in Sala Parto emerge la mancanza di adeguata sorveglianza da parte del Ginecologo sulla partoriente, lasciata a tutti gli effetti nelle mani dell’Ostetrica, sopraggiunta successivamente.
La Corte ha correttamente ritenuto non sufficiente -ad escludere la responsabilità del Ginecologo- accertare l’insorgenza di una complicanza, dovendosene dimostrare l’imprevedibilità e l’inevitabilità, nonché l’adeguatezza della condotta del Sanitario per porvi rimedio.
Invece, un corretto adempimento della prestazione avrebbe evidenziato tempestivamente la sofferenza fetale e anticipare l’estrazione del feto, eliminando o riducendo gli effetti dannosi, poi verificatisi.
Inoltre, rammenta la Suprema Corte “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non pregiudica sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente”.
Ciò evidenziato, gli Ermellini ritengono inammissibile il ricorso principale e quello incidentale tardivo.
Dunque, i rispetti ricorrenti, principale e incidentale, vengono condannati in via solidale al pagamento delle spese di giudizio in favore dei genitori del bambino.
Il ricorrente principale, inoltre, viene condannato al pagamento delle spese di lite in favore dell’Ostetrica.
Avv. Emanuela Foligno
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