Le Sezioni Unite si pronunciano sul diritto del coniuge titolare dell’assegno divorzile rispetto all’indennità di incentivo all’esodo incamerata dall’ex (Cassazione Civile, Sezioni Unite, sent., 7 marzo 2024, n. 6229).
Il principio espresso dalle S.U.:
La quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis l. n. 898/1970, introdotto dall’art. 16 l. n. 74/1987, al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.
La vicenda
Il Tribunale di Milano pronunciava il divorzio dei coniugi, ponendo a carico del marito l’obbligo di corresponsione a titolo di assegno divorzile, della somma omnicomprensiva mensile di 9.000 euro a favore dell’ex moglie. La donna proponeva appello esponendo che l’ex marito aveva, nel corso dell’anno 2008, interrotto il rapporto lavorativo, percependo oltre a un’ingente somma a titolo di T.F.R. anche un’ulteriore somma a titolo di “incentivo all’esodo”, chiedendo la corresponsione ai sensi dell’art. 12-bis l. n. 898/1970 del 40% di tutto quanto percepito.
La Corte di Appello di Milano condannava l’ex marito a corrispondere l’importo del 40% del solo T.F.R., ritenendo che non era dovuto all’attrice alcun importo percentuale con riferimento alle somme percepite a titolo – sostanzialmente risarcitorio – di “incentivo all’esodo”.
Il ricorso in Cassazione
L’ex moglie propone ricorso in Cassazione e la Prima Presidente ha disposto che sul ricorso si pronunciassero le Sezioni Unite in ordine al contrasto registrato nella giurisprudenza di legittimità sulla individuazione della “base imponibile” su cui calcolare la quota ex art. 12-bis l. n. 898/1970 spettante all’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio e non passato a nuove nozze, con riferimento alla possibilità di farvi rientrare le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cd. incentivo all’esodo).
Il contrasto giurisprudenziale
La Corte di Cassazione ha osservato che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, costituiscono reddito di lavoro dipendente, in funzione del ristoro di un lucro cessante e che le stesse sono assoggettate alla tassazione separata alla stregua delle “altre indennità e somme” di cui all’art. 16, comma 1, lett. a), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, percepite una tantum in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro (Cass., 11 febbraio 2020, n. 3264).
In altra pronuncia, ha chiarito che in caso di divorzio, sono assoggettate alla disciplina di cui all’art. 12-bis della legge sul divorzio le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di incentivi all’esodo, atteso che dette somme non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (Cass., 12 luglio 2016, n. 14171).
Seguendo tale ragionamento, l’ex coniuge poteva richiedere anche la quota dell’incentivo all’esodo, al pari del trattamento di fine rapporto.
Invece, in epoca più risalente, è stato ritenuto che l’indennità di fine rapporto, alla quale fa riferimento l’art. 12-bis, non può che venire rappresentata da quell’indennità, comunque denominata (trattamento di fine rapporto, indennità di fine servizio, indennità di buonuscita), la quale, maturando alla cessazione del rapporto di lavoro, è determinata in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore (Cass. 17 aprile 1997, n. 3294), restando invece escluse l’erogazione corrisposta dal datore di lavoro a seguito dell’anticipato collocamento a riposo posto in essere con il consenso del dipendente nell’ambito di una politica aziendale volta favorire la riduzione del personale, accomunata agli altri trattamenti di fine rapporto solo dalla scadenza al momento della cessazione dell’attività ed avente origine in un regime professionale di natura privata a carattere preminentemente previdenziale ed assicurativo (Cass., 11 aprile 2003, n. 5720).
In altri termini, secondo l’orientamento più risalente, si tratta di una erogazione del tutto distinta, per natura, presupposti, finalità e criteri di determinazione, dall’indennità di fine rapporto come sopra definita e non assoggettabile quindi alla disciplina di quell’art. 12-bis l. n. 898/1970 che prevede il diritto ad una quota da parte del coniuge divorziato limitatamente a detta indennità e proporzionalmente agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio (art. 12 bis comma 2).
La soluzione delle Sezioni Unite
L’incentivo all’esodo comporta, da parte del datore di lavoro, un’offerta di somme aggiuntive, rispetto al trattamento di fine rapporto, e vi sono considerevoli differenze normative tra trattamento di fine rapporto ed incentivo all’esodo. Infatti l’importo erogato a titolo di incentivo all’esodo non viene considerato ai fini della formazione della base imponibile per il calcolo di contributi di assistenza e previdenza sociale, mentre concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini fiscali. Difatti, l’incentivo all’esodo si struttura come una spettanza di fine rapporto non obbligatoria e non aggiuntiva che il datore di lavoro può decidere di pagare, poiché ha natura sostanzialmente risarcitoria.
A differenza del trattamento di fine rapporto, l’incentivo all’esodo non è costituito da somme accantonate durante il periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio”, bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, e dunque non può essere ancorato agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.
Conclusivamente, l’art. 12-bis l. n. 898/1970 si applica unicamente alle indennità che maturano alla data di cessazione del rapporto di lavoro e che sono determinate in misura proporzionale alla durata del rapporto di lavoro ed alla entità della retribuzione corrisposta, qualificabili come quota differita della retribuzione.
Avv. Emanuela Foligno