Titolare e direttore dei lavori condannati per l’infortunio del dipendente

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Titolare e direttore dei lavori condannati per l'infortunio

Titolare e direttore dei lavori condannati a versare all’Inail un importo superiore a  cinquecentomila euro per l’infortunio del lavoratore (Cassazione civile, sez. VI, dep. 09/05/2022, n.14655).

Titolare e direttore dei lavori condannati a corrispondere all’Inail le prestazioni economiche erogate in relazione all’infortunio del lavoratore.

La Corte d’appello di Catania ha respinto l’appello proposto rispettivamente dal titolare e direttore dei lavori, confermando la pronuncia di primo grado che aveva condannato i predetti a versare all’Inail la somma di Euro 564.444,67, per le prestazioni economiche erogate in relazione all’infortunio occorso il 17.2.2000 al lavoratore dipendente.

La Corte territoriale ha ritenuto validamente interrotta la prescrizione triennale decorrente dal 4.12.2007 (data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza penale di condanna), per effetto della richiesta di pagamento inviata dall’Inail , non rilevando che il plico inviato dall’Istituto fosse stato consegnato a persona diversa dal destinatario ed estraneo al suo nucleo familiare.

Ha rilevato, inoltre, che la sentenza penale della Corte d’appello aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati, titolare e direttore dei lavori, in ordine ai reati contravvenzionali perché estinti per prescrizione, ma aveva pronunciato condanna dei medesimi per il reato di lesioni colpose gravi, aggravate dalla violazione di specifiche disposizioni in materia di sicurezza nei lavori edili.

Il termine di prescrizione decorreva quindi dal passaggio in giudicato della sentenza penale, ai sensi dell’art. 112 cit., u.c. seconda parte.

Nel merito la Corte ha accertato, in base alle prove raccolte e al giudicato penale, la responsabilità del datore di lavoro titolare e direttore dei lavori nella causazione dell’infortunio provocato dal crollo del muro di una vecchia costruzione.

Riguardo alla determinazione della somma pretesa dall’Inail, premesso che la stessa non includeva voci a titolo di danno biologico estranee alla tutela assicurativa in relazione all’epoca dell’infortunio (17.2.2000, anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000), i Giudici di appello hanno giudicato la somma validamente desumibile dalla attestazione del direttore della sede erogatrice, in quanto atto amministrativo assistito da presunzione di legittimità, ed hanno ritenuto che il datore di lavoro, responsabile civile, fosse onerato di dimostrare l’avvenuto riconoscimento al lavoratore di prestazioni non spettanti oppure eccedenti.

La decisione viene impugnata in Cassazione in relazione all’azione di regresso; validità dell’eccezione di prescrizione e decadenza; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

I ricorrenti ribadiscono l’eccezione sollevata ai sensi dell’art. 112, u.c. prima parte, in ragione della declaratoria in sede penale di non doversi procedere nei confronti di titolare e diretto dei lavori in ordine ai reati contravvenzionali perché estinti per prescrizione.

La censura inerente la ricostruzione in fatto sulla dinamica dell’infortunio e sulle connesse responsabilità, non è ammissibile in quanto propone una diversa valutazione degli elementi di prova.

La censura sull’azione di regresso, invece, è fondata.

In tema di azione di regresso, il datore di lavoro è obbligato nei confronti dell’Inail nei limiti dei principi che informano la responsabilità per il danno civilistico subito dal lavoratore; ne consegue che il Giudice del merito, senza considerare l’ammontare dell’indennizzo previdenziale, deve calcolare il danno civilistico (ex artt. 1221 e 2056 c.c.), quale limite massimo del diritto di regresso dell’Inail, stabilendo, quindi, se l’importo richiesto dall’istituto rientri o meno nel predetto limite.

Nel caso in esame, la Corte di appello ha liquidato l’intera somma richiesta dall’Inail, senza previamente stabilire quale somma sarebbe spettata all’infortunato in risarcimento dei danni patrimoniali, in applicazione dei principi di diritto civile. I criteri di liquidazione del diritto civile e quelli stabiliti dalla normativa in tema di assicurazioni sociali contro gli infortuni sul lavoro, non coincidono.

Il datore di lavoro è tenuto al pagamento nei confronti dell’Inail solo entro i limiti dei principi che informano la responsabilità civile per il danno subito dal lavoratore, il Giudice del merito deve calcolare il predetto danno civilistico (ai sensi dell’art. 2056 c.c. e art. 1223 e ss. c.c.), che costituisce il limite massimo del diritto di regresso dell’Istituto, senza entrare nel merito della valutazione effettuata dall’Istituto a mezzo dei suoi sanitari ai fini del danno infortunistico, stabilendo, quindi, se l’importo richiesto dall’Istituto rientri o meno nel predetto limite.

La decisione, pertanto, viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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